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ai sensi art 7 Reg. Europeo n. 1071/2009 – art. 7 D. D . 291/2011

Pratiche Telematiche al Registro Imprese - Invio Bilancio
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martedì 26 febbraio 2013

IVA: le locazioni di immobili tra esenzione e imponibilità


 
Il D.L. 83/2012, c.d. Decreto Crescita ha introdotto dal 26 giugno 2012, data di entrata in vigore, l’Iva su opzione anche per la cessione e la locazione di immobili abitativi costruiti o ristrutturati da imprese.
Grazie all’art.9 del D.L. 83/2012, c.d. Decreto Crescita, dallo scorso 26 giugno 2012 sono operative le modifiche alla disciplina Iva che consentono ai costruttori di immobili abitativi e ai soggetti che su tali immobili eseguono interventi di ristrutturazione di “evitare” le conseguenze dell’esenzione applicata sia alle locazioni (poste in essere in attesa di cedere l’immobile) quanto alle cessioni effettuate dopo il periodo di detenzione quinquennale, decorrente dalla data di ultimazione dei lavori.
Tali modifiche, inoltre, riguardano anche la disciplina dei fabbricati strumentali, non tanto ai fini dell’assoggettamento a Iva delle operazioni di locazione e cessione che interessano tali immobili (che anche in passato era comunque consentita), quanto della ottimizzazione delle disposizioni che regolano la cessione di tali fabbricati.
Vengono eliminate alcune situazioni nella quali occorreva assoggettare obbligatoriamente a Iva l’operazione a favore di una generalizzata estensione del meccanismo dell’opzione.
Per esempio nei casi di:
- cessione a privati;
- o a soggetti con pro rata di detrazione pari o inferiore al 25% quali, ad esempio, i medici, gli assicuratori, i promotori finanziari, ecc.

L’applicazione uniforme dell’opzione:
- tanto per i fabbricati abitativi;
- quanto per i fabbricati strumentali;
si traduce, nei casi di opzione, in un’altrettanto generalizzata applicazione del meccanismo dell’inversione contabile (o reverse charge) quale meccanismo necessario per l’assolvimento dell’imposta su tali operazioni, con la sola eccezione per entrambe le categorie di immobili della cessione effettuata dal costruttore o da colui che vi ha eseguito interventi di ristrutturazione entro il periodo di cinque anni dalla data di ultimazione dei lavori di costruzione o ristrutturazione (che resta ora l’unico caso di imponibilità Iva per obbligo di legge).
Infine, la modifica apportata alla tabella allegata al decreto Iva è un passaggio necessario per garantire l’applicazione dell’aliquota ridotta del 10% nei ripristinati casi in cui è possibile cedere o locare immobili abitativi in regime di imponibilità Iva.

Il dettato normativo
Le disposizioni del D.P.R. 633/72 che vengono modificate con effetto dal 26 giugno 2012 e che innescano le dinamiche sopra descritte sono le seguenti:
Le modifiche alla disciplina delle locazioni
Il punto 8) dell’art. 10 del D.P.R. n. 633/72 tratta delle locazioni di immobili (inclusi terreni e aziende agricole, le aree non suscettibili di utilizzazione edificatoria, nonché i fabbricati di qualsiasi tipologia).
Per tali immobili è previsto il trattamento di esenzione, con la sola eccezione, delle aree considerate “edificabili”, che per il fatto di non essere menzionate dalla presente disposizione normativa scontano obbligatoriamente il regime di imponibilità Iva.
In un panorama di esenzione generalizzata, vista la collocazione all’interno dell’art. 10 del Decreto Iva delle disposizioni, sono tuttavia previste deroghe specifiche che, a seguito delle modifiche introdotte dal D.L. n.83/12, vanno applicate attraverso un’opzione, da esercitarsi nel contratto di locazione e su impulso del locatore (mai del locatario).

Le deroghe all’esenzione
Le tre ipotesi che oggi consentono di optare per il regime di imponibilità Iva in luogo dell’esenzione sono le seguenti locazioni:
- fabbricati strumentali che per le loro caratteristiche non sono suscettibili di diversa utilizzazione senza radicali trasformazioni;
- fabbricati abitativi destinati ad alloggi sociali come definiti dal decreto del ministro delle Infrastrutture, di concerto con il ministro della Solidarietà sociale, il ministro delle Politiche per la famiglia e il
ministro per le Politiche giovanili e le Attività sportive del 22 aprile 2008 (c.d. housing sociale);
- fabbricati abitativi effettuate dalle imprese costruttrici degli stessi o dalle imprese che vi hanno eseguito, anche tramite imprese appaltatrici, gli interventi di cui all'art.3, co.1, lett. c), d) ed f), del Testo
Unico dell'edilizia di cui al D.P.R. n.380 del 6 giugno 2001.
In riferimento ai fabbricati strumentali, prima deroga al regime di imponibilità, il D.L. n.83/12 semplifica di molto l’originaria versione del testo normativo in vigore fino al 25 giugno 2012. Se prima erano previsti due casi di applicazione dell’Iva obbligatoria accanto a una generalizzata imponibilità a seguito di opzione, ora è possibile dal 26 giugno 2012 locare in esenzione un fabbricato strumentale a un privato così come a un soggetto “assimilato al privato” (prorata di detrazione pari o inferiore al 25%).
Se, quindi, il locatore, che ha costruito o eseguito interventi di ristrutturazione su tale immobile valuti che l’applicazione del regime di esenzione alle proprie operazioni attive non rechi eccessivo pregiudizio alla detrazione dell’Iva assolta sui propri acquisti, potrà pattuire con i locatari un canone di locazione competitivo (senza applicazione dell’Iva).
Vi è uniformità di trattamento nelle locazioni di fabbricati strumentali: nascono tutte esenti, con la possibilità di optare in ogni caso per il regime di imponibilità tramite opzione.
Per i fabbricati abitativi destinati ad alloggi sociali, seconda deroga al regime di esenzione, attivabile con l’opzione, va fatto riferimento all’art. 57, co. 1, lett. a) del D.L. n. 1/12 (c.d. Decreto liberalizzazioni), che ha previsto la possibilità di optare per il regime di imponibilità anche con riferimento alle locazioni di immobili abitativi destinati ad alloggi sociali.
Infine, l’ultima deroga al regime di esenzione interessa le locazioni effettuate dai costruttori e da coloro che eseguono gli interventi di cui all'art.3, co.1, lett. c), d) ed f), del Testo Unico dell'edilizia (D.P.R. n.380/01) su immobili abitativi da essi costruiti o ristrutturati. Questa è la novità di maggior rilievo del D.L. n.83/12, in quanto la possibilità di optare da parte del costruttore o di chi ha eseguito i predetti interventi di recupero, per il regime di imponibilità delle locazioni, in luogo dell’esenzione, permette a tali soggetti di evitare le conseguenze negative determinate dall’applicazione del pro-rata generale di detrazione (ed eventualmente anche della rettifica della detrazione).
Tali conseguenze erano state ribadite nel documento di prassi R.M. n.112/E/08, nel quale l’Amministrazione Finanziaria aveva battezzato come “tipiche” per il costruttore (e ristrutturatore) le operazioni di locazione riguardanti gli immobili abitativi costruiti o ristrutturati, anche se le stesse fossero realizzate temporaneamente in attesa di trovare migliori condizioni di vendita.
Ora, con la possibilità di optare, a partire dal 26 giugno 2012, per il regime di imponibilità di tali operazioni, si apre uno scenario nel quale locare un immobile abitativo in attesa di cederlo diventa un’operazione che non produce riflessi negativi sotto il profilo della detrazione dell’Iva sugli acquisti.

Come vanno allora gestititi i contratti in corso a tale data (26 giugno 2012)?
Con riferimento ai fabbricati abitativi costruiti o ristrutturati da imprese, infatti, sorge il problema di come gestire il cambio di regime in relazione a quei contratti di locazione che il costruttore o il ristrutturatore ha sottoscritto in data precedente al 26 giugno e che sono stati governati in regime di esenzione, in quanto unico regime vigente per tali operazioni.
Il costruttore o colui che ristruttura l’immobile a partire dal 26 giugno 2012 dovrà emettere fattura con Iva per i canoni di locazione, precedentemente fatturati in esenzione?
Un intervento dell’Amministrazione Finanziaria sarebbe opportuno, ma in questo momento di “limbo” ci si rifà alla R.M. n. 2/08, con la quale l’Agenzia delle Entrate confermò, in occasione di subentri in contratti di locazione formalizzati in origine senza opzione, di optare per il regime di imponibilità inviando a cura del locatore una raccomandata con ricevuta di ritorno all’Agenzia delle Entrate.
Tale procedura potrebbe essere applicata anche in questo caso, visto che nel momento di sottoscrizione del contratto tale opzione non era esercitabile.
Il medesimo problema si potrebbe porre nel caso di locazione dei fabbricati strumentali: locazioni assoggettate a Iva per obbligo di legge, che in virtù delle modifiche introdotte richiedono l’esercizio di un’esplicita opzione per applicare il regime di imponibilità.
Ma è davvero necessaria un’opzione che confermi il regime già applicato?
Se, invece, vi è l’interesse ad applicare l’esenzione, tale cambio di regime deve essere comunicato all’Amministrazione, dato che il regime di esenzione rappresenta oggi il regime naturale applicabile a tali operazioni?
Infine, l’imponibilità reintrodotta ai fini Iva per le locazioni riguardanti gli immobili abitativi ha comportato la necessaria modifica della tabella A parte III allegata al decreto Iva, che descrive i casi in cui risulta applicabile l’aliquota ridotta nella misura del 10%.
A partire dal 26 giugno 2012, quindi, a seguito della modifica apportata alla lettera 127-duodevicies) della richiamata tabella A, per tutte le locazioni di immobili abitativi rese imponibili a seguito di opzione, troverà applicazione l’aliquota ridotta del 10%.

Cessione e locazione di immobili: più chance per applicare l'Iva

Fisco








Domanda

Una società di gestione immobiliare, che concede in locazione un'immobile strumentale a una pubblica amministrazione, deve, per il futuro, fatturare con o senza Iva? Inoltre, considerato che questa società ha intenzione di cedere qualche immobile, è possibile avere un quadro delle novità introdotte dal Dl 83/2012?
R.M. - TORINO

Risposta

Le cessioni e le locazioni di immobili abitativi e strumentali sono operazioni esenti da Iva, come "regime naturale", salvo che il cedente o il locatore non scelga di applicare l'Iva, con un'opzione espressa nell'atto di vendita (rogito notarile) o nel contratto di locazione. Il decreto legge 83/2012 ha ampliato i casi in cui è possibile applicare l'imponibilità Iva, su opzione del cedente o del locatore. Per i fabbricati abitativi, l'opzione è attribuita esclusivamente ai soggetti che hanno costruito o ristrutturato l'immobile. Per i fabbricati strumentali, invece, è sempre possibile applicare il regime Iva, indipendentemente da chi sono i soggetti della compravendita o della locazione.
Gli affitti
Le locazioni di immobili abitativi sono esenti da Iva. Ma se il locatore è l'impresa che ha costruito o ristrutturato l'immobile, a prescindere dal tempo trascorso dall'ultimazione dell'intervento, può applicare l'Iva sui canoni con aliquota del 10% (numero 127-duodevicies della tabella A, parte III, allegata al Dpr 633/72). L'imposta di registro, in questo caso, è dovuta in misura fissa (67 euro).
Le locazioni di fabbricati strumentali sono generalmente esenti da Iva, ma il locatore può sempre optare per l'applicazione dell'Iva. Indipendentemente dal regime Iva (esenzione o imponibilità), i contratti di locazione di fabbricati strumentali scontano l'imposta proporzionale di registro (1%).
La scelta di applicare l'Iva su opzione evita l'onere di un'eventuale rettifica della detrazione, ma vi sono casi in cui potrebbe essere conveniente mantenere il regime naturale di esenzione. A esempio, se una società possiede esclusivamente immobili acquistati o ristrutturati da più di 10 anni, o nel caso in cui la locazione esente non comporti uno scostamento del pro rata superiore ai 10 punti percentuali rispetto al passato, soprattutto se l'immobile è concesso in locazione a soggetti che non possono portare in detrazione l'Iva addebitata sui canoni. In questo senso, è interessante notare come la norma attuale abbia eliminato la disposizione che obbligava, nel passato, ad applicare l'Iva sui canoni di locazione nei confronti dei soggetti che non possono detrarre l'Iva o hanno un pro rata di detraibilità, inferiore al 25 per cento.
Le novità del Dl 83/2012 si applicano anche per i contratti in corso: per i canoni pagati dopo il 26 giugno 2012, infatti, valgono le nuove regole. Da più parti è stata segnalata l'opportunità di inviare una raccomandata con avviso di ricevimento all'ufficio competente, così come previsto per casi analoghi nel passato (risoluzione 2/E del 4 gennaio 2008). In assenza di una norma transitoria, potrebbe essere opportuno fare questa comunicazione solo in due circostanze: nel caso di passaggio dal regime di esenzione a quello di imponibilità su opzione (ad esempio per gli immobili abitativi locati da imprese che li hanno costruiti/ristrutturati) e, eventualmente, nel caso in cui si passa da un regime di imponibilità Iva per obbligo di legge a un regime di imponibilità su opzione (a esempio, locazione di un immobile strumentale a una banca o a uno studio medico).
Nessuna comunicazione è dovuta, invece, per le locazioni di fabbricati strumentali se è già stata espressa l'opzione in sede di contratto e si vuole mantenere il regime Iva, o nel caso di passaggio dal regime di imponibilità a quello di esenzione, essendo questo il regime "naturale" per tutti i canoni di locazione pagati successivamente alla data del 26 giugno 2012.
Preliminare e acconti
La novità del Dl 83/2012, per quanto concerne le vendite di immobili, riguarda essenzialmente la possibilità di assoggettare a Iva i trasferimenti di abitazioni anche dopo i cinque anni dall'ultimazione della costruzione o della ristrutturazione. Lo spartiacque temporale influisce sulle modalità di versamento dell'Iva: prima dei cinque anni, la vendita è imponibile per obbligo di legge e l'Iva dev'essere esposta in fattura. Dopo tale termine, è necessario esprimere l'opzione e trova applicazione il "reverse charge", sempre che (naturalmente) l'acquirente sia un soggetto Iva.
Così come nella locazione, anche per le vendite ci sono alcune ipotesi in cui il cedente potrebbe avere interesse a mantenere il regime di esenzione. Per esempio, l'esenzione conviene se cedente è un'impresa che non opera nel settore edile e, conseguentemente, la vendita non influisce sul pro rata, perché estranea all'oggetto dell'attività, e, quindi, la vendita potrebbe al limite comportare solo la rettifica dell'Iva sulle spese specificamente imputabili all'appartamento ceduto nei limiti dei decimi mancanti al compimento del decennio (articolo 19 bis del Dpr 633 del 26 ottobre 1972).
Si ritiene che l'opzione possa essere espressa già nel contratto preliminare (il cosiddetto compromesso), per anticipare il regime che si applicherà al momento del rogito, così come confermato dallo studio del Notariato 102-2012/T (reperibile su www.notariato.it). Nel caso in cui sia corrisposto un acconto, prima del preliminare, la manifestazione dell'opzione potrebbe avvenire con l'emissione della fattura, applicando i principi del «comportamento concludente».
Questa soluzione consentirebbe al cedente l'applicazione dell'Iva sugli acconti fatturati (anche oltre i cinque anni) ed eviterebbe salti d'imposta. Si consideri, per esempio, il caso in cui l'acquirente corrisponda al costruttore uno o più acconti, magari di importo rilevante, in assenza di preliminare: senza opzione, l'acconto sarebbe esente da Iva e da registro, mentre, al momento del rogito, l'Iva si applicherebbe solo sul saldo, come confermato dal Notariato nella nota citata.
Nel caso in cui, al momento del rogito, non dovesse essere confermata l'opzione per il regime di imponibilità, il cedente potrebbe emettere una nota di variazione in diminuzione ai sensi dell'articolo 26 del Dpr 633/72. Ciò detto, se, al momento dell'acconto, il termine di cinque anni dall'ultimazione lavori non è ancora trascorso, la manifestazione dell'opzione non è necessaria, perché in questi casi il regime Iva è obbligatorio.

fonte:sole24ore

giovedì 21 febbraio 2013

Redditi esclusi legalmente dalla formazione della base imponibile ai fini dell’accertamento sintetico


Domanda
In ordine alla prova contraria che il contribuente può opporre all’accertamento sintetico la norma fa riferimento ai redditi diversi da quelli posseduti nello stesso periodo d’imposta o esenti o soggetti a ritenuta alla fonte o legalmente esclusi dalla base imponibile. La nozione di reddito deve qui essere intesa in senso meramente fiscale o sarà possibile per il contribuente dimostrare anche il reddito reale finanziario disponibile che in molti casi può divergere dal reddito dichiarato ai fini fiscali? (es. rateizzazione di una plusvalenza patrimoniale ai soli fini fiscali)?


Risposta
Si conferma il riferimento al reale reddito finanziario disponibile; infatti nell’ultima parte della citata disposizione normativa si richiama espressamente tra le prove contrarie che possono essere prodotte il possesso di redditi esclusi “legalmente dalla formazione della base imponibile” (Es. la persona fisica titolare di un bene immobile di interesse storico/artistico dato in locazione è tenuto fiscalmente a dichiarare, quale reddito imponile, la sola rendita catastale e non il canone di locazione; ovviamente il canone effettivamente riscosso verrà preso in considerazione nell’ambito della necessaria attività istruttoria propedeutica all’accertamento sintetico).

cosa succede a un commercialista che non prova l’incarico


Pubblicato il: 14 febbraio 2013. 

 
 
cosasuccedeCosa succede a un commercialista che non riesce a provare il conferimento dell’incarico e il suo espletamento? La parcella è sufficiente per ottenere il decreto ingiuntivo ma, da sola, basta nel giudizio di opposizione?
Ho già trattato l’argomento dei crediti professionali, sia all’interno di questo blog sia in uno specifico Corso Online, ma non potevo lasciarmi sfuggire la sentenza 2471/13 della Corte di Cassazione pubblicata lo scorso 1 febbraio per offrire un utile/ulteriore approfondimento anche per chi approda a questo tema per la prima volta.

Analizziamo il caso.
Sei mila euro è la cifra che un commercialista otteneva dal tribunale di Salerno per un decreto ingiuntivo su un cliente cui aveva fornito prestazioni professionali per consulenza contabile.
Il titolare dell’azienda debitrice, però, si opponeva a detto decreto, disconoscendo ogni rapporto con il professionista. A suo dire, l’azienda era stata assistita da un collaboratore del commercialista, al quale aveva anche consegnato due assegni a titolo di onorario per l’attività svolta.
Il commercialista, a questo punto, costituitosi nel giudizio di merito conseguente all’opposizione, deduce l’infondatezza degli assunti avversari, sostenendo che il rapporto professionale era in realtà intercorso con lo studio, di cui lui era dominus. Inizia così lo scontro!

1° Round
Il primo grado di giudizio si conclude a favore del professionista. Nulla da eccepire per i giudici chiamati a diramare la controversia.
2° Round
Il secondo grado di giudizio invece dà ragione al cliente.

Secondo la Corte d’appello, la prova della sussistenza del credito può essere fornita dal professionista che chiede il compenso per le sue prestazioni in sede di richiesta di decreto ingiuntivo con la produzione della parcella e del relativo parere dell’Ordine professionale competente.
La stessa documentazione non è però sufficiente nel giudizio di opposizione, che si svolge secondo le regole ordinarie del giudizio di cognizione.
Nel caso di specie, a fronte delle specifiche contestazioni del cliente, il professionista non è stato in grado di fornire nè la prova del conferimento dell’incarico, né la prova dell’effettivo espletamento dello stesso, né del contenuto della contabilità, né tantomeno del compenso convenuto con il cliente.
Match finale
Avverso la decisione della Corte d’appello il professionista propone ricorso in Cassazione. Senza successo però! La sconfitta è netta.
I giudici della Suprema Corte hanno dichiarato il gravame infondato, avendo il giudice di secondo grado adeguatamente motivato il proprio convincimento con l’affermazione che l’opposto non aveva soddisfatto l’onere su di lui gravante di provare il conferimento dell’incarico, l’effettivo espletamento dello stesso e la determinazione del compenso, considerando inoltre che il contenuto dell’interrogatorio formale dell’opposto sulla asserita cooperazione con il collaboratore era irrilevante ai fini probatori.
In conclusione, se il cliente si oppone al decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale, si instaura un giudizio a cognizione piena, con inversione dell’onere della prova in capo al creditore, al quale spetta dimostrare sia il conferimento dell’incarico che l’espletamento dello stesso.
Il rigetto del ricorso determina la condanna del commercialista alle spese, liquidate dalla Seconda Sezione Civile in euro 2.200.
Al di là della specificità del caso qui esposto, sintomatico è il messaggio che desidero che arrivi dalla lettura di questo articolo: provare sempre il conferimento dell’incarico ed il suo espletamento. Il non farlo (o farlo prestando poca attenzione) potrebbe costare caro.

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martedì 19 febbraio 2013

Lo studio di settore ‘ mal si attaglia’ al trasporto pubblico locale




Un  recentissimo giudizio Tributario conclusosi con una  pronuncia del 01/10/2012 della Commissione Tributaria Regione Campania, depositata il 10/10/2012 ha accolto l’appello del contribuente annullando completamente l’ avviso di accertamento  basato sugli studi di settore, che vedeva il recupero a tassazione di maggiori ricavi per oltre 158.000,00 Euro.
Così, il collegio, in riforma della sentenza di primo grado,  motiva  l’accoglimento dell’appello del contribuente, facendo proprie le deduzioni difensive della parte, e ritenendo  dunque, fondate le motivazioni e le doglianze esposte in sede di contradditorio : ‘’ poiché la società opera nel settore del trasporto pubblico, completamente regolato da obblighi di servizio tali da non rendere applicabili logiche concorrenziali e/o opportunità di mercato che possano influire  considerevolmente su maggiori ricavi ‘’.
Il caso di specie, è stato un ottimo ed interessante spunto professionale, per vedere finalmente applicato, fra l’altro, la centralità del contraddittorio e la concreta modalità di svolgimento dell’attività al processo  tributario, principi più volte richiamati dalla stessa Cassazione Sez. Unite ( sent. n. 26635/26636/26637/26638 del 18/09/2009).
 In definitiva, si potrebbe arrivare all’ardua considerazione finale dell’inapplicabilità degli studi di settore al comparto del  TRASPORTO PUBBLICO LOCALE,  a parere di chi scrive,  un consequenziale e dovuto cambio di direzione.

Carmen Daniele

lunedì 11 febbraio 2013

Finanziamenti per la Green Economy

E'stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n.21 del 25 gennaio 2013 la circolare del Ministero dell’Ambiente 18 gennaio 2013, n. 5505 che istituisce un fondo di 460 milioni di euro per lo sviluppo dell’occupazione giovanile nel settore della green economy. Sono coinvolte le imprese di tutti i settori, di qualsiasi dimensione ed i giovani lavoratori fino a 35 anni.
I progetti di investimento devono essere inoltrati entro il 26 aprile 2013.

giovedì 7 febbraio 2013

Fallimento


Argomento: Fallimento

Aggiornato al 29/03/2012
CHE COS'È
Non tutti gli imprenditori possono essere sottoposti a fallimento.
La legge fallimentare (Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267) stabilisce determinati requisiti di natura soggettiva e oggettiva in presenza dei quali un'impresa rientra nel campo di applicazione del fallimento.
Sotto il profilo soggettivo, sono fallibili solamente le imprese private, sia in forma individuale che in forma societaria, che esercitano un’attività commerciale.
Per individuare la nozione di impresa commerciale, dovrà farsi riferimento all'articolo 2195 codice civile, ove sono elencate le attività che qualificano un’impresa come tale:
  • produzione di beni o servizi; 
  • intermediazione nella circolazione dei beni; 
  • trasporto per terra, acqua, aria; 
  • banche e assicurazioni; 
  • attività ausiliarie delle precedenti. 
Sono pertanto escluse dalla disciplina del fallimento:
  • le imprese pubbliche; 
  • le imprese non commerciali, quali le imprese agricole. 
Sono esclusi dalla fallibilità anche i piccoli imprenditori, secondo la definizione che ne dà l’articolo 2083 codice civile: i coltivatori diretti, gli artigiani e tutti coloro che esercitano un’attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio o dei componenti della famiglia.
La legge fallimentare, inoltre, stabilisce le seguenti soglie dimensionali la cui presenza congiunta consente ad un imprenditore di essere sottratto alla disciplina del fallimento, anche qualora eserciti un'attività commerciale:
  • l’impresa ha avuto, nei tre esercizi precedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento (o dall'inizio dell’attività se inferiore), un attivo patrimoniale complessivo annuo non superiore a euro 300.000;  
  • l’impresa ha realizzato, nei tre esercizi precedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento (o dall'inizio dell’attività se inferiore), ricavi lordi complessivi annui non superiori a euro 200.000;  
  • l’impresa ha un ammontare di debiti, anche non scaduti, non superiore a euro 500.000. 
Va tenuto ben presente che solo la presenza congiunta di tutti e tre i requisiti dimensionali appena elencati consente all'impresa di non essere assoggettabile a fallimento. Ne consegue che se, ad esempio, un‘impresa, pur avendo avuto negli ultimi tre esercizi un attivo patrimoniale complessivo pari a eiro 200.000 e ricavi lordi complessivi pari a euro 150.000, qualora dalle scritture contabili risultino debiti anche non scaduti superiori a euro 500.000, potrà essere – in astratto – dichiarata insolvente e sottoposta al fallimento.
Sotto il profilo oggettivo, un’impresa che presenta i requisiti soggettivi per essere potenzialmente dichiarata fallita, affinché venga aperta nei suoi confronti la procedura concorsuale di fallimento deve trovarsi in uno stato di insolvenza.
Lo stato di insolvenza, secondo la definizione che si ricava dall’articolo 5 della legge fallimentare, è quella situazione in cui l’imprenditore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni nei confronti dei creditori e che si manifesta con inadempimenti o con altri fatti esteriori. 
COME SI FA
L’accertamento della sussistenza dei requisiti di natura soggettiva per l'assoggettabilità a fallimento di un’impresa è un’operazione piuttosto agevole, se si escludono alcune figure che hanno dato luogo a dubbi o contrasti interpretativi (ad esempio consorzi, associazioni non riconosciute, fondazioni, agenti di commercio e mediatori).
Per quanto riguarda l’accertamento delle soglie dimensionali al di sotto delle quali è esclusa la fallibilità, l’articolo 1 della legge fallimentare stabilisce che incombe sull'imprenditore investito da un’istanza di fallimento dimostrare la sussistenza di tutti i tre requisiti (ammontare dell’attivo, dei ricavi lordi e dei debiti) che consentono di evitare di essere sottoposto a procedura concorsuale.
Ciò comporta che l’imprenditore che non riesca a dimostrare la sussistenza di tali requisiti dimensionali sarà comunque sottoposto a fallimento, qualora si tratti di un imprenditore commerciale.
Più problematico può invece presentarsi l’accertamento della sussistenza dello stato di insolvenza, il quale, in base alla norma, delle manifestarsi mediante inadempimenti o altri fattori esterni.
Se i criteri tipicamente sintomatici dello stati di insolvenza generalmente sono il sistematico inadempimento del debitore ai propri obblighi di pagamento, possono assumere rilevanza anche una significativa sproporzione tra attivo e passivo patrimoniale a vantaggio di quest’ultimo, la chiusura di rami d’azienda dell’imprenditore con conseguenti licenziamenti collettivi, atti evidentemente preordinati a sottrarsi al pagamento dei debiti quali lo spostamento sistematico della sede dell’impresa. In alcuni casi anche un solo inadempimento, se importante e qualificato, può rivelarsi indice di uno stato di insolvenza.
Viceversa può ritenersi che, pur in presenza di un cospicuo indebitamento, un’impresa non si trovi in stato di insolvenza qualora i creditori non abbiano compiuto alcun’azione volta ad assicurare il pagamento dei propri crediti.
Va infine ricordato che non può essere dichiarato il fallimento dell’imprenditore che, pur in presenza di tutti i requisiti soggettivi ed oggettivi, abbia debiti scaduti e non pagati complessivamente inferiori a euro 30.000,00.
CHI
L’accertamento della sussistenza dei requisiti oggettivi e soggettivi per l'assoggettabilità a fallimento di un imprenditore è compito spettante al Tribunale Fallimentare al quale viene sottoposta un’istanza di fallimento da parte di uno dei soggetti a ciò abilitati.
FAQ

Un imprenditore agricolo è sempre escluso dall'assoggettabilità a fallimento?

La legge assoggetta a fallimento solamente gli imprenditori commerciali, con esclusione, quindi degli imprenditori agricoli.
Va peraltro sottolineato che l'articolo 2135 codice civile definisce come imprenditore agricolo chi esercita non solo la coltivazione del fondo, la selvicoltura e l'allevamento di animali, ma anche chi svolge attività ad esse connesse, quali quelle dirette alla "manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall'allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l'utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell'azienda normalmente impiegate nell'attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge".
Tali attività connesse alla coltivazione ed all'allevamento, pur in astratto assimilabili alle attività commerciali di cui all'articolo 2195 codice civile per la loro natura e per le caratteristiche mediante le quali possono essere esercitate, non sottraggono l'impresa alla qualificazione di impresa agricola, con conseguente esclusione del fallimento.



Ordine degli Avvocati di Padova

Presupposti per la dichiarazione di fallimento

Presupposti per la dichiarazione di fallimento
Il fallimento può essere chiesto solo nei per chi:
1.  Si trovi nelle condizioni previste dall'art. 1 della L.F.
2.  Si trovi in stato d'insolvenza.
Analizziamo separatamente i due presupposti:
In passato potevano fallire solo gli imprenditori e le società commerciali, ed erano quindi esclusi i piccoli imprenditori e gli imprenditori agricoli.
Tale disciplina aveva creato non poche difficoltà soprattutto per l'individuazione della categoria dei piccoli imprenditori (art. 2083 c.c.) a causa della elasticità dei concetti espressi da quell'articolo. La situazione è mutata con la riforma della l.f. che prevede (grazie al correttivo apportato dall'art. 1 D.lgs n. 169\2007) i parametri in base ai quali può essere dichiarato il fallimento di un imprenditore (o di una società).
Ciò che colpisce della nuova disciplina è la scomparsa di ogni riferimento relativo al piccolo imprenditore, e quindi si può affermare che se si supera anche uno solo dei parametri previsti dall'art. 1 della l.f. si potrà fallire, se, all'opposto, nessuno di questi parametri è superato, non sarà possibile ottenere il fallimento dell'imprenditore, piccolo o commerciale che sia.
Ciò ha finalmente posto fine all'incertezza che  caratterizzava la precedente disciplina, fermo restando, però, che non è sottoponibile al fallimento l'imprenditore agricolo e gli altri enti e imprese che in base a leggi speciali non possono essere sottoposti a tali procedure;
ciò si capisce dall0 stesso art. 1 che, in merito ai soggetti che possono essere sottoposti al fallimento, espressamente si riferisce agli "imprenditori che esercitano una attività commerciale, esclusi gli enti pubblici".
È quindi evidente che solo chi sia imprenditore " che svolge un'attività commerciale" possa fallire, e tale attività la svolgono sicuramente gli imprenditori e le società commerciali e la possono svolgere i piccoli imprenditori. Di conseguenza solo gli imprenditori che "non svolgono un'attività commerciale" saranno sicuramente esclusi dal fallimento e questi non solo altri che gli imprenditori agricoli.
Vediamo quindi, alla luce della riforma, quali sono i parametri previsti dall'art. 1 della l.f. in base ai quali anche chi "svolge un'attività commerciale", non può fallire.
imprese escluse dal fallimento e dal concordato
preventivo
Non sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori di cui al primo comma, i quali dimostrino il possesso congiunto dei seguenti requisiti:
a) aver avuto, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di fallimento o dall'inizio dell'attività se di durata inferiore, un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila;
b) aver realizzato, in qualunque modo risulti, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell'istanza di fallimento o dall'inizio dell'attività se di durata inferiore, ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila;
c) avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro cinquecentomila.
I limiti di cui alle lettere a), b) e c) possono essere aggiornati ogni tre anni con decreto del Ministro della giustizia, sulla base della media delle variazioni degli indici ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati intervenute nel periodo di riferimento
la qualità di imprenditore commerciale si acquista con l'effettivo svolgimento dell'attività di cui all'art. 2195 c.c.
Non è elemento determinante l'iscrizione nel registro dell'imprese
sono esclusi gli enti pubblici,  le imprese sottoposte a liquidazione coatta amministrativa (art. 2 l.f.) e le imprese sottoposte ad amministrazione straordinaria
Bisogna notare che l'art. 1 prevede una inversione dell'onere della prova a carico dell'imprenditore che sia stato oggetto di una richiesta di fallimento; è infatti lui, e non il ricorrente o il pm, a dover provare di non aver superato nessuno dei tre requisiti  previsti dallo stesso articolo 1.
Passiamo allo stato d'insolvenza; è infatti vero che per fallire non basta che si superino i parametri di cui all'art. 1 l. f. , ma che si versi anche in stato d'insolvenza.

stato di insolvenza
(art. 5 l.f.)
si trova in questo stato l'imprenditore che non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni
l'insolvenza può manifestarsi anche da particolari comportamenti dell'imprenditore (art. 7 l. f.) e i più rilevanti sono:
1.fuga o latitanza
2.chiusura dei locali dell'impresa
3. trafugamento, sostituzione o diminuzione fraudolenta dell'attivo 
lo stato d'insolvenza deve essere definitivo e non temporaneo 
In presenza dei presupposti visti in precedenza si potrà quindi chiedere il fallimento, ma non è detto che lo si ottenga.
Può infatti accadere che avanzata rituale richiesta di fallimento secondo le regole degli articoli 1 e 5 della legge fallimentare, si scopra, in sede di istruttoria prefallimentare, che l'ammontare dei debiti scaduti e non pagati è complessivamente inferiore a trentamila euro (art. 15 l. f.).
Si tratta, nella sostanza, di un terzo presupposto necessario per ottenere il fallimento che si aggiunge agli atri due già visti in precedenza, e come gli importi previsti dall'art. 1 l.f. anche la cifra dei trentamila euro è aggiornata ogni tre anni con decreto del Ministro della giustizia, sulla base della media delle variazioni degli indici ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati intervenute nel periodo di riferimento.

Vediamo, ora, sino a quando può essere dichiarato il fallimento
tempo della dichiarazione di fallimento
(art. 10 l.f.)
l'imprenditore individuale o collettivo che sia (società), può essere dichiarato fallito entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese ma solo se l'insolvenza si è manifestata prima della cancellazione o entro l'anno successivo
entro l'anno deve essere dichiarato il fallimento, non bastando la semplice richiesta
in caso di impresa individuale o di cancellazione di ufficio di società, è fatta salva la facoltà per il creditore o per il pubblico ministero di dimostrare il momento dell'effettiva cessazione dell'attività da cui decorre il termine di un anno
Come si vede è importante che nell'anno sia dichiarato il fallimento, e ciò vuol dire che nell'anno deve essere depositata in cancelleria la relativa sentenza.
È anche vero, però, che la legge fallimentare prevede un'eccezione a tale regola.
Ci riferiamo alla ipotesi prevista dall'art. 22 l.f. commi 4 e 5 dove la corte di appello accoglie il reclamo contro il decreto del tribunale che aveva respinto l'istanza di fallimento.
Qui è espressamente detto (comma 5) che i termini " di cui agli articoli 10 e 11 si computano con riferimento al decreto della corte d'appello"; in altre parole per sapere se si è ancora in tempo per far dichiarare il fallimento dell'imprenditore che ha cessato l'attività o è defunto, bisognerà verificare se il decreto della corte è stato pronunciato nell'anno dalla cancellazione dal registro delle imprese o dalla morte dell'imprenditore, e non andare a verificare se la successiva sentenza del tribunale che dichiara il fallimento sia stata depositata in quei periodi di tempo.

L'art. 10 l.f. è stato riformato dal d.lgs. n. 169\2007  risolvendo una disputa che aveva visto come protagonisti da un lato la Corte di Cassazione e dall'altro la Corte Costituzionale. Se si vogliono ripercorrere i termini del dibattito giurisprudenziale, basterà cliccare qui.
La legge fallimentare non si occupa dell'ipotesi di fallimento dell'imprenditore che non si è iscritto al registro delle imprese e della società di fatto; si potrebbe ritenere che in questo caso tali imprese potranno fallire senza limiti di tempo, e questo costruirebbe una sorta di sanzione conseguente alla mancata iscrizione al registro.
È anche vero, però, che tale conclusione sarebbe in contrasto con gli orientamenti emersi dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale in relazione al vecchio testo dell'art. 10, cui si è ispirato il legislatore nella formulazione del nuovo articolo 10; sembra, in conclusione, più corretto ritenere che il fallimento delle imprese o società non iscritte  può essere chiesto entro un anno da quando questi soggetti abbiano portato a conoscenza dei terzi con mezzi idonei la cessazione della attività d'impresa (v. Cass. 28/08/2006, n.18618).

Occupiamoci, infine, di due argomenti relativi al tempo della dichiarazione di fallimento, e cioè il fallimento dell'imprenditore defunto (art. 11) e della morte del fallito durante la procedura fallimentare.
Cominciamo con il primo caso regolato dall'art. 11 l.f.
fallimento dell'imprenditore defunto
può essere chiesto purché la dichiarazione di fallimento avvenga entro un anno dalla morte
la richiesta può provenire anche dall'erede del defunto, a condizione che non vi sia stata la confusione tra i due patrimoni, poiché l'eredità è stata accettata senza beneficio di inventario. Se l'erede avanza questa richiesta non deve depositare la documentazione relativa agli ultimi 3 esercizi di cui all'art. 14 l.f. e i bilanci.
se i creditori del defunto hanno ottenuto la separazione dei beni (art. 512 e ss c.c.) cessano gli effetti del separazione; in altre parole di fronte al fallimento i creditori separatisti non hanno alcun titolo di preferenza rispetto agli altri creditori dell'imprenditore defunto
In merito al fallimento dell'imprenditore (persona fisica) defunto è necessaria una osservazione; l'articolo 11 rimanda alla disciplina dell'art.10 l.f. e da ciò si dovrebbe evincere che il fallimento dell'imprenditore defunto potrebbe essere dichiarato entro l'anno dalla cancellazione dell'impresa dal registro delle imprese, sempreché l'insolvenza si è manifestata prima della cancellazione o entro l'anno successivo; sembra più corretto, tuttavia, ritenere che il termine di riferimento per  la dichiarazione di fallimento si debba riferire alla data della morte dell'imprenditore, piuttosto che alla data di cancellazione dal registro delle imprese (implicitamente in tal senso Cass. 21/11/2002, n.16415 e anche Trib. Roma, 15/10/1997).
Vediamo ora l'ipotesi dell'imprenditore morto durante la procedura (art. 12 l.f.).
morte dell'imprenditore durante la procedura
la procedura prosegue nei confronti degli eredi, anche se hanno accettato con beneficio d'inventario
se ci sono più eredi, la procedura prosegue verso quello che è designato come rappresentante.
In mancanza di accordo nella designazione del rappresentante entro 15 gg. dalla morte del fallito, la designazione è fatta dal giudice delegato
in caso di eredità giacente la procedura prosegue in confronto del curatore dell'eredità giacente e nel caso previsto dall'art. 641 del c.c. nei confronti dell'amministratore nominato a norma dell'art. 642 dello stesso codice
in caso di eredità sottoposta a condizione sospensiva o di mancata prestazione di garanzia il fallimento prosegue nei confronti dell'amministratore nominato ex art. 642 del codice civile

 
 

Sentenze rilevanti per l'argomento:
In relazione alla attività svolta (art. 1 l. f)
La società di persone costituita nelle forme previste dal codice civile ed avente ad oggetto un'attività commerciale è assoggettabile al fallimento indipendentemente dall'effettivo esercizio dell'attività, poiché acquista la qualità d'imprenditore commerciale dal momento della sua costituzione, non dall'inizio del concreto esercizio dell'attività d'impresa, dovendo ritenersi sussistente il requisito della professionalità richiesto dall'art. 2082 c.c. per il solo fatto della costituzione per l'esercizio di un'attività commerciale, che segna l'irreversibile scelta per il suo svolgimento, come peraltro si desume anche dagli artt. 2308 e 2323 c.c., essendo irrilevante che la società di persone non abbia la personalità giuridica, in quanto costituisce nelle relazioni esterne un gruppo solidale ed inscindibile, ed assume la struttura di un soggetto di diritti. Cassazione civile n. 8849/2005;


In relazione allo stato di insolvenza (art. 5 l.f.)
Nel giudizio di opposizione alla dichiarazione di fallimento, la verifica, ex art. 5 legge fallimentare dello stato d'insolvenza dell'imprenditore commerciale esige la prova di una situazione d'impotenza, strutturale e non soltanto transitoria, a soddisfare regolarmente e con mezzi normali le proprie obbligazioni,valutate nel loro complesso, in quanto già scadute all'epoca della predetta dichiarazione e ragionevolmente certe; ne consegue, quanto ai debiti, che il computo non si limita alle risultanze dello stato passivo nel frattempo formato, ma si estende a quelli emergenti dai bilanci e dalle scritture contabili o in altro modo riscontrati, anche se oggetto di contestazione, quando (e nella misura in cui) il giudice dell'opposizione ne riconosca incidentalmente la ragionevole certezza ed entità; quanto all'attivo, i cespiti vanno considerati non solo per il loro valore contabile o di mercato, ma anche in rapporto all'attitudine ad essere adoperati per estinguere tempestivamente i debiti, senza compromissione - di regola - dell'operatività dell'impresa, salvo che l'eventuale fase della liquidazione in cui la stessa si trovi renda compatibile anche il pronto realizzo dei beni strumentali e dell'avviamento. Cassazione civile n. 5215/2008

Ai fini della dichiarazione di fallimento, lo stato di insolvenza dell'imprenditore è configurabile anche in assenza di protesti, pignoramenti e azioni di recupero dei crediti, i quali non costituiscono parametro esclusivo del giudizio sul dissesto, posto che invece è la situazione di incapacità del debitore a fronteggiare con mezzi ordinari le proprie obbligazioni a realizzare quello stato, secondo la previsione dell'art. 5 legge fallimentare, quali che siano gli "inadempimenti" in cui si concretizza e i "fatti esteriori" con cui si manifesta. Cassazione Civile n. 9856/2006,
Lo stato d'insolvenza dell'imprenditore commerciale, quale presupposto per la dichiarazione di fallimento, si realizza in presenza di una situazione d'impotenza, strutturale e non solo transitoria, a soddisfare regolarmente e con mezzi normali le proprie obbligazioni, a seguito del venire meno delle condizioni di liquidità e di credito necessarie alla relativa attività mentre è irrilevante ogni indagine sull'imputabilità o non all'imprenditore medesimo delle cause del dissesto, ovvero sulla loro riferibilità a rapporti estranei all'impresa, come sull'effettiva esistenza ed entità dei crediti fatti valere nei suoi confronti Cassazione civile n. 4789/2005;
L'insolvenza della società non può necessariamente desumersi da uno squilibrio patrimoniale, che può essere eliminato dal favorevole andamento degli affari o da eventuali ricapitalizzazioni, e non è invocabile quando la società stessa è in liquidazione, ossia quando l'impresa non si propone di restare sul mercato, ma ha come suo unico obiettivo quello di provvedere al soddisfacimento dei creditori sociali, previa realizzazione delle attività sociali e alla distribuzione dell'eventuale residuo attivo tra i soci, con la conseguenza che in tale ipotesi la valutazione del giudice, ai fini dell'accertamento delle condizioni richieste per l'applicazione dell'articolo 5 della legge fallimentare non può essere rivolta a stimare, in una prospettiva di continuazione dell'attività sociale, l'attitudine dell'impresa a disporre economicamente della liquidità necessaria per fare fronte ai costi determinati dallo svolgimento della gestione aziendale, ma deve essere unicamente diretta, invece, ad accertare se gli elementi attivi del patrimonio sociale consentono di assicurare l'eguale e integrale soddisfacimento dei crediti sociali. Cassazione Civile n. 18927/2004;

Ai fini della valutazione dello stato d'insolvenza di una società cancellata dal registro delle imprese, il tribunale deve accertare unicamente se, nell'anno di cui all'art. 10 l. fallimentare gli elementi attivi del patrimonio sociale consentissero di assicurare l'eguale ed integrale soddisfacimento dei creditori sociali, mentre, essendo l'impresa fuori dal mercato, non è richiesto che essa disponesse di credito e di risorse, e quindi di liquidità, per soddisfare le obbligazioni contratte. Tribunale di  Milano, 22/02/2007;

In relazione agli indici per la dichiarazione di fallimento (art. 1 l.f.)
Per accertare il presupposto soggettivo del fallimento si deve tener conto soltanto degli indici dell'art. 1 legge fallimentare senza riferimento ai tradizionali criteri dell'art. 2083 c.c. Tribunale di Tolmezzo, 14/10/2008
E' assoggettabile a fallimento l'imprenditore che non abbia fornito alcuna prova del possesso congiunto dei requisiti di cui all'art. 1 l. fallimentare;Tribunale di  Napoli, 01/10/2008
Il tribunale adito per la dichiarazione di fallimento non può valutare d'ufficio la sussistenza dei presupposti dimensionali di cui all'art. 1, secondo comma, l. fallimentare , essendo l'onere della prova a carico del debitore. Tribunale di Napoli, 01/10/2008.
Ai fini dell'assoggettabilità al fallimento, l'insussistenza dei requisiti dimensionali dell'impresa costituisce eccezione in senso proprio, di talché il tribunale non può rilevare d'ufficio la carenza del presupposto soggettivo in difetto di specifica deduzione di parte. Tribunale di  Napoli, 01/10/2008;
Con riferimento ai requisiti dimensionali di cui ai punti a) e b) dell'art. 1 legge fallimentare è irrilevante il loro superamento avvenuto in periodo anteriore gli ultimi tre esercizi precedenti la data del deposito del ricorso per fallimento, posto che il legislatore ha ritenuto, ai fini della valutazione dell'insolvenza, che il dato precedente tale periodo non fosse più idoneo a rispecchiare l'elemento dimensionale dell'impresa. Tribunale di  Roma, 18/06/2008
Spetta a colui che intende sottrarsi alla dichiarazione di fallimento provare di possedere i requisiti indicati nel secondo comma dell'art. 1 l. fallimentare  indipendentemente dalla provenienza soggettiva dell'istanza (debitore, creditore o P.M.).Tribunale di  Santa Maria Capua Vetere, 02/05/2008
In relazione al tempo della dichiarazione di fallimento (art. 10 l.f.).
Ai sensi dell'art. 10 legge fallimentare il dies a quo per il computo del termine annuale della cancellazione dell'impresa non può essere identificato né con la data della richiesta di cancellazione formulata dall'imprenditore né, ancor meno, con l'unilaterale fissazione da parte sua della data di cessazione dell'attività in forza della quale la cancellazione venga richiesta; esso va, invece, identificato con il fatto oggettivo della cancellazione assunta dall'ufficio con la sua inserzione nel registro e con conseguente ostensione dell'evento alla conoscenza di tutti i terzi. Il debitore non è inoltre ammesso a provare la conoscenza che il singolo creditore abbia della cessazione dell'attività imprenditoriale in data antecedente alla data della cancellazione dal registro delle imprese. Corte Di Appello Salerno, 14/01/2009
A seguito della sentenza 21 luglio 2000, n. 319 della Corte costituzionale, il termine annuale entro il quale può essere dichiarato il fallimento dell'impresa societaria decorre, ai sensi dell'art. 10 l. fallimentare non dalla liquidazione effettiva di tutti i rapporti giuridici patrimoniali, ma dalla sua cancellazione dal registro delle imprese. Cassazione Civile n. 19736/2008- (nota dell' autore il principio va tanto più riaffermato alla luce della modifica dell'art. 10 ex  D. lgs. 9 gennaio 2006 n. 5).

In relazione alla morte dell'imprenditore (art. 11 l.f.)
Nel caso di dichiarazione di fallimento dell'imprenditore entro l'anno dalla morte, ai sensi dell'art. 10 legge fallimentare, non è obbligatoria l'audizione dell'erede nella fase istruttoria anteriore alla dichiarazione di fallimento, atteso che nessuno degli accertamenti rimessi al tribunale incide in modo immediato e diretto sulla posizione dell'erede ovvero gli reca un pregiudizio eliminabile soltanto attraverso la partecipazione del medesimo all'istruttoria prefallimentare. Cassazione civile  n. 2674/2000
Non è fondata - in riferimento all'art. 3 cost. - la questione di legittimità costituzionale dell'art. 147, comma 1 e 2, legge fallimentare, interpretato nel senso che i soci illimitatamente responsabili delle società di persone resterebbero soggetti al fallimento, in via di estensione del fallimento della società, anche successivamente alla perdita per qualsiasi causa (morte, recesso, esclusione, cessione della quota) della loro qualità di soci, senza alcuna limitazione di ordine temporale, dovendosi invece la disposizione denunziata interpretare nel senso che, a seguito del fallimento della società commerciale di persone, il fallimento dei soci illimitatamente responsabili defunti o rispetto ai quali sia comunque venuta meno l'appartenenza alla compagine sociale può essere dichiarato solo entro il termine, fissato dagli art. 10 e 11 della legge fallimentare, di un anno dallo scioglimento del rapporto sociale. Corte costituzionale, 12/03/1999, n. 6

Presupposti del fallimento: requisiti dimensionali.

Presupposti del fallimento: requisiti dimensionali.

Di cosa si tratta
Dopo l’entrata in vigore della riforma fallimentare (D.Lgs. n. 5 del 9 gennaio 2006), abbiamo cercato di individuare i nuovi presupposti per la dichiarazione di fallimento (Cfr.: I presupposti del fallimento.), ma sono stati subito mutati dal successivo provvedimento D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169 (c.d. correttivo).
Vediamo le nuove norme che hanno rilievo, iniziando dall’art. 1, intitolato “Imprese soggette al fallimento e al concordato preventivo”:
“Sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori che esercitano una attività commerciale, esclusi gli enti pubblici.
Non sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori di cui al primo comma, i quali dimostrino il possesso congiunto dei seguenti requisiti:
a) aver avuto, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di fallimento o dall'inizio dell'attività se di durata inferiore, un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila;
b) aver realizzato, in qualunque modo risulti, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell'istanza di fallimento o dall'inizio dell'attività se di durata inferiore, ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila;
c) avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro cinquecentomila.
I limiti di cui alle lettere a), b) e c) del secondo comma possono essere aggiornati ogni tre anni con decreto del Ministro della giustizia, sulla base della media delle variazioni degli indici ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati intervenute nel periodo di riferimento".
La dizione della norma (1° comma) porta ad escludere dal fallimento chi non esercita attività commerciale e gli enti pubblici; sono quindi esclusi gli imprenditori agricoli e l’insolvente civile (il professionista).
Passando al dato quantitativo dell’individuazione dell’area dei soggetti che possono fallire, sono esclusi quei soggetti per i quali non ricorrano i tre requisiti quantitativi congiuntamente.
Il primo requisito è l’attivo patrimoniale; per i soggetti tenuti al bilancio, sarebbe l’attivo rilevato dallo stato patrimoniale per l’ultimo periodo e cioé relativo agli ultimi tre esercizi. Il superamento anche per un solo anno comporterebbe l’esistenza del requisito per fallire e la soluzione forse non è così condivisibile, mentre sarebbe stato meglio considerare il risultato complessivo rapportato ad anno. Essendo i concetti di “esercizio” e “attivo patrimoniale” precisi e consolidati nelle scienze aziendalistiche, il punto non dovrebbe essere oggetto di dubbi.
Per la Relazione ministeriale al decreto correttivo “.. il parametro alquanto vago e di incerta definizione dell’ammontare degli ‘investimenti’ viene sostituito con quello del ‘attivo patrimoniale’, il quale consente di fare riferimento alla precisa elencazione contenuta nell’art. 2424 del codice civile..”.
Quindi l’attivo patrimoniale va cercato nella norma richiamata ed è costituito dalla somma:
A – Crediti verso soci per versamenti ancora dovuti (sono i decimi di capitale sociale sottoscritti): sono valori abbastanza attuali, che dipendono da operazioni sul capitale);
B – Immobilizzazioni, divise in materiali, immateriali e finanziarie (tendenzialmente sono valori storici, in quanto il criterio storico, costo di acquisto, è quello di valutazione ammesso dalla norma civile (da n. 1 a n. 6 e n. 12 dell’art. 2426 c.c.); sono valori attuali quando derivano da investimenti recenti o nel caso di avere fatto ricorso a rivalutazioni monetarie operate in virtù di una legge che lo consentisse. Il valore di bilancio delle immobilizzazioni deve essere esposto al netto delle quote di ammortamento e, in taluni casi, il valore di bilancio può non corrispondere all’effettivo valore dei beni presenti in azienda come nel caso di beni ammortizzati ma ancora funzionanti. Il valore delle immobilizzazioni può esporre importi inferiori rispetto ai valori correnti delle stesse immobilizzazioni, in particolare quando si abbiano valori di natura “immobiliare”;
C – Capitale circolante, costituito da giacenze di magazzino, crediti, attività finanziarie non immobilizzate e disponibilità finanziarie, le rimanenze di magazzino (nn. 9 e 10 dell’art. 2426 cod. civ.) e le attività finanziarie non immobilizzate (n. 9 dell’art. 2426 cod. civ.) vanno valutate con il criterio del costo di acquisto che, stante la maggiore rotazione rispetto alle precedenti immobilizzazioni, presenta valori correnti o comunque più attuali rispetto a quelli attribuiti alle immobilizzazioni; i crediti devono essere iscritti al valore di presumibile realizzo (n. 8 dell’art. 2426 cod, civ) e presentano valori attuali, talvolta sopravvalutati se inseriti al valore nominale senza alcuna, o una minima svalutazione;
D – Ratei attivi, posta che può essere ricompresa nel capitale circolante quando sia di esigua entità (espongono valori attuali, trattandosi di crediti sorti in conseguenza di operazioni a ponte dell’ultimo esercizio).
Il secondo requisito attiene ai ricavi lordi, che non sono più calcolati sulla media degli ultimi tre anni, ma realizzati “nei tre esercizi antecedenti”, e sarebbero tutti quei componenti di reddito che scaturiscono dall’attività ordinaria dell’impresa. Si può fare riferimento alle voci A1 (ricavi delle vendite e delle prestazioni) e A5 (altri ricavi e proventi, con separata indicazione dei contributi in conto esercizio) del conto economico all’art. 2425 cod. civ..
Per questo parametro non si pone il problema dell’epoca di valorizzazione in quanto i ricavi sono rappresentati da valori correnti. La documentazione probatoria del parametro è sostanzialmente identica a quella indicata per la determinazione dell’attivo patrimoniale, anche se alcune parti assumono rilevanza, come il conto economico nell’ambito del bilancio d’esercizio, il conto dei profitti e delle perdite nell’ambito dell’inventario di cui all’art. 2217 cod. civ. ed i quadri relativi al reddito d’impresa ed alla determinazione dell’imponibile IRAP nell’ambito delle dichiarazioni fiscali annuali.
Trattandosi di “ricavi” è escluso ogni compenso che non sia corrispettivo di attività propria dell’impresa (l’art. 2425 bis cod. civ. distingue tra ricavi e proventi), e cioè non ricomprende proventi di altra natura o proventi straordinari; essendo ricavi “realizzati” l’espressione implica che devono essere assunti nel loro valore di competenza d’esercizio, indipendentemente dalla manifestazioni di cassa (altrimenti parleremmo di ricavi incassati); indicati “lordi” i “ricavi realizzati” devono essere assunti “al lordo dei costi sostenuti ad essi correlati” (costi compresi nella sezione “B – Costi della produzione”).
Il terzo parametro relativo ai debiti, anche non scaduti, non ha un riferimento temporale e crediamo che ci si debba riferire al momento della presentazione dell’istanza di fallimento.
Per non fallire quindi è necessario collocarsi sotto a tutti e tre i parametri, potendo aprirsi il fallimento anche nel caso che solo uno di essi sia stato superato.
Non va però dimenticato che alla dichiarazione di fallimento non si perviene quando l’ammontare dei debiti scaduti accertati in sede di istruttoria prefallimentare sia inferiore a euro 30.000,00 (art. 15 L.Fall.); quindi se anche l’ammontare dei debiti complessivo fosse superiore al limite quantitativo richiamato, la mancanza di debiti scaduti sopra la soglia indicata impedirebbe il fallimento.
I tre requisiti dimensionali: “attivo patrimoniale”, “ricavi lordi” e “debiti anche non scaduti” saranno poi per il terzo comma dell’art. 1 L. Fall. oggetto di revisione triennale ad opera del Ministro della giustizia.
La comunicazione del 4 dicembre 2007 del Tribunale di Milano precisa dove individuare i tre elementi quantitativi per i soggetti che non siano società di capitali, che sono per le società di persone il dato dei ricavi che si rileva dalla riga RF76 del Quadro RF se in contabilità ordinaria e dal Rigo RG2 del Quadro RG se in contabilità semplificata; per gli imprenditori individuali il dato dei ricavi si rileva dalla Riga RF75 se in contabilità ordinaria e dal Rigo RG2 del Quadro RG se in contabilità semplificata. Per le società di persone in contabilità ordinaria il dato dell’attivo patrimoniale si rileva dalla Riga RF66 del Quadro RF e per gli imprenditori individuali il dato si rileva dalla Riga RF65 del Quadro RF. Per le società di persone in contabilità ordinaria il dato dei debiti si rileva sommando i valori delle righe RF69 e RF 73 del Quadro RF e per gli imprenditori individuali il dato si rileva sommando i valori delle righe RF68 e RF72 del Quadro RF.
Per una breve rassegna giurisprudenziale sui requisiti per fallire si veda nel sito: “
a cura di Avv. Donato B. Quagliarella

AMMINISTRATORI - Art. 95 e scritture contabili

AMMINISTRATORI - Art. 95 e scritture contabili

AMMINISTRATORI - Art. 95
Per gli amministratori può essere previsto un compenso:
a) in misura fissa;
b) variabile in base agli utili (partecipazione agli utili);
c) misto, base fissa più variabile in base agli utili;
d) variabile in base al volume di affari (sconsigliato);
- con eventuale aggiunta di:
e) rimborso delle spese sostenute in funzione del proprio mandato;
f) indennità di fine mandato;
g) compensi in natura o benefici supplementari (es. uso dell'auto, di un appartamento, anche se usufruiti dai familiari).
Il compenso degli amministratori deve essere deliberato dall’assemblea dei soci all’atto della nomina o suc-cessivamente, se non è già stabilito dallo statuto (art. 2364). Per gli amministratori investiti di particolari cari-che il compenso è fissato dal consiglio di amministrazione, sentito il collegio sindacale (art. 2389).
Il compenso può essere pagato con la periodicità desiderata: annuale, mensile, trimestrale, ecc..
L'amministratore che riceve un compenso non deliberato o superiore a quello deliberato, anche sotto for-ma di benefici non tassati, può essere passibile di sanzioni penali, qualora per rilevanza dell’importo si confi-guri l’ipotesi di danno patrimoniale (art. 2634).
Il compenso percepito senza delibera è nullo (Cass. N. 21933/2008); non è ammessa la ratifica tacita neppu-re con l’approvazione del bilancio. La nullità del compenso non deliberato o superiore a quello deliberato comporta, sotto il profilo tributario, l’indeducibilità dello stesso.
La gratuità della prestazione, se non prevista nello statuto, dovrà emergere da una delibera assembleare o del C.d.A., con espressa accettazione dell’amministratore. In mancanza, l’amministratore potrà rivolgersi al giudice per ottenere un equo compenso (Cass. 24.2.97 n. 1647; Cass. 19.3.91 n. 2895). La rinuncia al com-penso deve risultare espressamente e non per implicito, ad esempio dall’approvazione del bilancio dal quale non risulta l’erogazione del compenso. La rinuncia è rilevante anche sotto il profilo contributivo e previden-ziale; l’obbligo contributivo, infatti, non opera in caso di gratuità del mandato.
La Cassazione, con sent. 1915/2008, ha chiarito che l’amministratore di società che dichiara di non percepi-re alcun compenso per lo svolgimento del proprio incarico può essere soggetto ad accertamento induttivo da parte dell’Agenzia delle Entrate, presupponendo che il mandato sia sempre a titolo oneroso.
Se non è previsto un compenso per l’amministratore, il punto 16 della nota integrativa dovrà riportare che “non è riconosciuto il compenso agli amministratori”.

Congruità del compenso - Il compenso deve essere determinato secondo criteri di ragionevolezza in rela-zione alle dimensioni, alla struttura e alla redditività della società. In assenza di norme specifiche, si sono ve-rificate contestazioni di congruità dei compensi pagati agli amministratori, specie se soci di società a ristretta base sociale, in quanto compensi troppo elevati costituirebbero, secondo l'A.F., un artificio elusivo volto a distribuire utili mascherandoli da compensi.
Con sent. n. 6599 dep. 9.5.02 la Cass. ha invece negato la possibilità di sindacare la congruità del compen-so degli amministratori delle società di persone.
In precedenza, la stessa Cass. (con sent. n. 9948 del 28.07.00, n. 12813 del 27.9.00 e n. 13478 del 30.10.01) aveva negato la deducibilità per mancanza di inerenza a compensi sproporzionati in relazione al volume di affari, superando l’importo dell’utile operativo (confermando la facoltà dell’A.F. di ritenere indedu-cibile la parte di compenso che supera il limite ritenuto inerente in rapporto ai ricavi o all’oggetto dell’impresa).
Una recente sentenza della Cassazione ( n. 28595/2008) ribadisce il principio secondo cui l’Amministrazione finanziaria non ha il potere di sindacare i compensi corrisposti agli amministratori delle società di persone.

COMPENSO IN MISURA FISSA
L’art. 95, c. 5 del Tuir prevede che il compenso spettante agli amministratori di società sia deducibile nell’esercizio in cui è corrisposto. Deve quindi essere contabilizzato in bilancio per competenza ma è fiscal-mente deducibile secondo il principio di cassa allargata (il compenso si considera pagato nell’anno se percepito entro il 12 gennaio dell’anno successivo (C.A.E. n. 57/2001); il suddetto principio non si applica al-le società con periodo d’imposta diverso dall’anno solare cosicché se l’esercizio è a cavallo del 31/12 il com-penso amministratori si può dedurre solo se erogato entro il termine dell’esercizio stesso; se il pagamento avviene con assegno non è sufficiente datarlo entro il 12 gennaio, ma va anche incassato entro la medesima data (specie per gli assegni non trasferibili). Quando tra competenza e cassa allargata ci sono sfasature temporali, occorre operare una variazione sulla dichiarazione dei redditi; trattandosi di “variazioni tempora-nee” e in presenza della “ragionevole certezza”, si dovrà procedere al calcolo delle imposte anticipate, ai soli fini Ires.
Il principio della cassa allargata si applica solo quando il compenso amministratori rientra tra i redditi assimi-lati al lavoro dipendente. Nelle ipotesi in cui è considerato reddito di lavoro autonomo (amministratore - pro-fessionista), il compenso può essere dedotto fiscalmente solo se erogato entro la fine dell’esercizio.

Compensi anno 2009
Soggetti con esercizio solare
Imponibilità per l’amministratore
Deducibilità per la società

Amministratori senza partita IVA
Erogati entro il 31/12/2009
Reddito 2009
Deducibilità 2009
Erogati entro il 12/01/2010
Reddito 2009
Deducibilità 2009
Erogati dal 13/01/2010 al 31/12/2010
Reddito 2010
Deducibilità 2010
Amministratori con partita IVA
Erogati entro il 31/12/2009
Reddito 2009
Deducibilità 2009
Erogati dal 01/01/2010 al 31/12/2010
Reddito 2010
Deducibilità 2010


CONTABILIZZAZIONE

Compenso amministratori
a
==/==
Amministratori c/ competenze
Erario c/ ritenute
Inps c/ contributi (carico amm.)

Contributi Inps
a
Inps c/ contributi (carico impr.)


COMPENSO COME PARTECIPAZIONE AGLI UTILI
La partecipazioni agli utili si calcola sugli utili netti risultanti dal bilancio, dedotta la quota da imputare a riser-va legale, alle eventuali altre riserve obbligatorie e quella destinata a reintegrare il capitale sociale che risulti intaccato da perdite di precedenti esercizi (art. 2432).
La partecipazione agli utili non rappresenta civilisticamente un costo, ma solo una modalità di destinazione degli utili. E’ deducibile anche se non imputata a conto economico (art. 95.5) e comporta una variazione in diminuzione sulla dichiarazione dei redditi. E’ da assoggettare a contribuzione previdenziale.

Esempio: Quota di partecipazione all’utile netto di bilancio: 15%; utile netto da bilancio € 362.000,00.
Destinazione dell’utile: 5% a Riserva legale, 15% del residuo a compenso amministratore ed il restante am-montare viene accantonato ad una riserva di utili.
Al riparto dell'utile:

Utile di esercizio
a
==/==
Riserva legale
Amministratori c/ comp. D.14
Riserva straordinaria

18.100,00
51.585,00
292.315,00
362.000,00
Amministratori c/competenze
a
==/==
Banca c/c (compenso netto)
Erario c/ rit. lavoro dipendente
Inps c/ contributi (1/3)

35.679,33
11.865,00
4.040,67
51.585,00
Contributi Inps amministratori
a
Inps c/contributi (2/3)

8.081,33

Rinuncia al compenso da parte dell'amministratore- La società dovrà operare una ritenuta dato che, secondo il Min. Fin. (C.M. 27.5.94 n. 73/E), la rinuncia a crediti correlati a redditi che vanno acquisiti a tassa-zione per cassa presuppone l'avvenuto incasso giuridico del credito. Per evitare contestazioni è preferibile una preventiva deliberazione dell’assemblea dei soci di rideterminazione del compenso.

Revoca degli amministratori- In base alla durata dell’incarico, si distingue tra amministratori nominati:
- a tempo determinato - hanno diritto al risarcimento del danno se revocati prima della scadenza senza giusta causa (art. 2383);
- a tempo indeterminato - la revoca obbliga al risarcimento solo quando non è stato dato un congruo preav-viso, salvo ricorra una giusta causa (art. 1725, Cass. Sez. I 7.9.99 n. 9482).
Lo statuto può in ogni caso escludere il diritto al risarcimento del danno anche nel caso di revoca per giusta causa.

Amministratore e lavoratore dipendente- Il rapporto di lavoro subordinato è incompatibile con la carica di Presidente del C.d.A., Amministratore unico e Consigliere delegato, in quanto verrebbe meno di fatto il re-quisito della subordinazione (Cass. sent. 24188 del 13/11/06) . Negli altri casi e verificandosi le condizioni descritte nella Circ. Inps n. 179/1989 è possibile la coesistenza nella stessa persona delle figure di ammini-stratore e dipendente. In particolare nel caso di Consigliere delegato occorre ponderare la natura e l’ampiezza dei poteri.

Rimborso spese per trasferte- In caso di amministratori “parasubordinati”, il trattamento è analogo a quello previsto per i lavoratori dipendenti: l’amministratore si considera in trasferta quando esce dal Comune nel quale si trova la sede naturale del proprio lavoro (es. gli uffici amministrativi) purché la stessa sia oggetti-vamente determinabile. In assenza di oggettiva determinabilità vale la sede indicata nell’atto di nomina; in mancanza, il domicilio fiscale.
In caso di amministratori “professionisti” si applica la disciplina prevista per il reddito dei lavoratori autonomi, cosicché i rimborso spese va assoggettato ad iva ed al prelievo della ritenuta. In particolare, a seguito delle modifiche apportate dal D.L. 223/2006, anche nel caso di spese di vitto e alloggio sostenute direttamente dalla società, affinché le stesse siano interamente deducibili occorre che l’amministratore – professionista le inserisca in fattura con assoggettamento ad iva e ritenuta d’acconto.

RIMBORSI SPESE EROGATI AGLI AMMINISTRATORI SENZA PARTITA IVA


Imponibilità per l’amministratore
Deducibilità
per la società


Rimborsi spese
ANALITICI di competenza dell’anno 2009
Per trasferte fuori dal Co-mune (vitto, alloggio, viag-gio, trasporto, indennità chilometriche): NON AS-SIMILABILI AI COMPENSI.

Erogati entro il 31/12/2009



Nessuna tassazione
(si applica la medesima disciplina prevista per i dipendenti (art. 51).
-
per spese di vitto e alloggio: fino a € 180,75 al giorno per trasferte in Italia; fino a € 258,23 al giorno per trasferte all’estero;
-
per le indennità chilometriche: nei limiti dei costi di auto di po-tenza fino a 17 cavalli (20 se diesel) con riferimento alle ta-belle ACI;
-
per altre somme anche non documentabili (parcheggio, te-lefono, …); fino a € 15,49 al giorno in Italia purché analiti-camente attestate dal dipen-dente in trasferta.

Erogati entro il 12/01/2010
Erogati dal 13/01/2010 al 31/12/2010


Imponibilità
per l’amministratore
Deducibilità
per la società

Rimborsi spese
FORFETARI
di competenza dell’anno 2009
limiti giornalieri art. 51.5
- € 46,48, trasferte in Italia
- € 77,47 trasferte all’estero
- riduzione di 1/3 se la so-cietà rimorsa a parte il vitto o l’alloggio
- riduzione di 2/3 se la so-cietà rimborsa a parte sia il vitto che l’alloggio 
Erogati entro il 31/12/2009
- Non imponibili, se nei limiti giornalieri
- Reddito 2009, per la parte eccedente i limiti

Deducibilità 2009
Erogati entro il 12/01/2010
(principio di cassa “allargato”)
- Non imponibili, se nei limiti giornalieri
- Reddito 2009, per la parte eccedente i limiti

Deducibilità 2009




Erogati dal 13/01/2010 al 31/12/2010

- Non imponibili, se nei limiti giornalieri
- Reddito 2010, per la parte eccedente i limiti
quale rimborso spese se nei limiti giornalieri
Deducibilità 2010 (criterio di cassa) quale compenso am-ministratori per la parte ecce-dente i limiti giornalieri


RIMBORSI SPESE EROGATI AGLI AMMINISTRATORI CON PARTITA IVA



Imponibilità
per l’amministratore
Deducibilità
per la società
Rimborsi spese ANALITI-CI E FORFETARI
(rappresentano comunque una forma di “compenso amministratori”)
Erogati entro il 31/12/2009
Reddito 2009
Deducibilità 2009
Erogati entro il 12/01/2010
Reddito 2010
Deducibilità 2010
Erogati dal 13/01/2010 al 31/12/2010
Reddito 2010
Deducibilità 2010

ADEMPIMENTI E CONTRIBUTI INPS
La qualifica di amministratore fa sorgere l’obbligo di iscrizione alla gestione separata inps e di pagamento dei relativi contributi (L. 335/1995).
Nomina - Gli amministratori devono presentare domanda di iscrizione alla sede Inps territorialmente compe-tente, preferibilmente all'atto della nomina e obbligatoriamente entro la data di attribuzione dell’eventuale compenso, indicando i propri dati anagrafici, codice fiscale, domicilio, nonché i dati identificativi della società committente. L’iscrizione all’Inps può essere effettuata anche direttamente dalla società.
Chi è amministratore di più società operanti in sedi diverse, deve spedire una sola domanda di iscrizione nel-la sede in cui ha la residenza o dove ha sede una società, elencando tutte le società nelle quali è ammini-stratore.
Cessazione - Gli amministratori (o la società) devono comunicare all'Inps la cessazione dell'incarico, entro 30 giorni. I contributi inps vanno pagati anche sull’eventuale indennità di fine mandato percepita dagli ammi-nistratori alla cessazione della carica.
Il diritto alla pensione (invalidità, vecchiaia), calcolato col sistema contributivo, sorge dopo un minimo di 5 anni di pagamento dei contributi alla gestione separata inps.
Pagamento dei contributi – I contributi previdenziali sono pagati dalla società tramite modello F24, entro il 16 del mese successivo a quello di pagamento del compenso. Per 2/3 sono a carico della società e per 1/3 dell’amministratore.
I contributi Inps si calcolano in maniera diversa a seconda che gli amministratori siano:
- privi di altra copertura previdenziale;
- iscritti ad altre forme di previdenza obbligatoria (es. dipendenti) e titolari di pensione indiretta o di reversibi-lità;
- titolari di pensione diretta (anzianità, vecchiaia o invalidità) anche se iscritti ad altre forme di previdenza obbligatoria.
Deducibilità – Segue la deducibilità del compenso cui si riferiscono (se il compenso è deducibile nel 2009, anche i contributi sono deducibili nel medesimo esercizio sebbene pagati nel 2010).
Il contributo previdenziale è posto per 2/3 a carico della società e per 1/3 a carico dell’amministratore. Non è previsto un minimale contributivo.
Soci amministratori di Srl commerciali - I soci lavoratori di srl commerciali (anche se contemporanea-mente già amministratori), sono obbligati al versamento dei contributi “Inps gestione commercianti”; in que-sto caso la base imponibile è costituita dalla parte del reddito fiscale dichiarato dalla srl e attribuita al socio in ragione della sua quota di partecipazione agli utili a prescindere dalla loro effettiva distribuzione. La recen-te sentenza 3240/2010 disattende la pretesa dell’Inps riguardo la doppia iscrizione.

ADEMPIMENTI E CONTRIBUTI INAIL
Il D.Lgs. 38/00 obbliga gli amministratori di società alla tutela assicurativa Inail quando svolgono attività pre-viste dall’art. 1 del Dpr 1124/65 (“ uso di veicoli a motore personalmente condotti, accesso in cantieri, opifici e simili,….. uso di macchine da ufficio ecc..”) non in via occasionale e per l’esercizio delle proprie mansioni.
L’obbligo assicurativo Inail non sussiste solo quando:
l’amministratore non svolge nessuna delle attività a rischio prescritte dalla legge (ad esempio quando non svolge attività produttiva, non utilizza autovetture né altri macchinari, limitandosi a partecipare alle sole riunioni del consiglio);
l’amministratore è un libero professionista ragioniere o dottore commercialista (Inail AD/194/01);
l’amministratore è un professionista che ricopre l’incarico nell’ambito della propria professione abituale (ad es.: avvocati, ingegneri edili che amministrano una società di ingegneria o un’impresa edile).
Nomina / Cessazione - Se sussiste l’obbligo contributivo, la società deve iscrivere / cancellare l’ammini-stratore entro 30 gg dalla nomina / cessazione. L’iscrizione di un amministratore all’Inail comporta di regola l’apertura di una nuova posizione assicurativa. Occorre inoltre iscrivere l’amministratore a libro matricola e libro paga. Dall’1/01/09 i suddetti registri sono sostituiti dal libro unico del lavoro su cui andranno annotati u-nicamente gli amministratori (non professionisti) ai quali viene corrisposto compenso.
Altri adempimenti - La società provvede al pagamento dei premi alle scadenze fissate dall’Istituto e alla denuncia degli eventuali infortuni/ malattie professionali.
Determinazione del contributo - Il premio dovuto è calcolato sull’ammontare dei compensi percepiti nell’anno, tenendo conto dei minimali e massimali di legge previsti per il calcolo delle rendite assicurative. E’ posto per 2/3 a carico della società e per 1/3 a carico dell’amministratore.
Deducibilità - Sono deducibili per competenza sia a fini Ires che ai fini Irap, secondo le regole generali di determinazione del reddito d’impresa.

REDDITO DELL’AMMINISTRATORE
Il reddito derivante dall’attività di amministratore può:
1) rientrare fra i redditi assimilati al lavoro dipendente, ai sensi dell’art. 50.1 c-bis. La società dovrà prov-vedere a:
- redigere il cedolino paga operando le ritenute fiscali e previdenziali ed effettuando gli eventuali conguagli a fine anno (le addizionali vengono trattenute in sede di conguaglio);
- versare le ritenute fiscali entro il 16 del mese successivo al pagamento del compenso;
- versare i contributi inps entro il giorno 16 del mese successivo a quello di competenza del compenso;
- redigere modello CUD a scadenza.
2) rientrare nell’ambito dell’attività professionale svolta dall’amministratore titolare di partita iva in quanto connessa alle mansioni tipiche della professione abitualmente esercitata. La società dovrà provvedere a:
- operare e versare la ritenuta d’acconto entro il 16 del mese successivo al pagamento del compenso;
- rilasciare la certificazione delle ritenute operate a scadenza.

Secondo la C.A.E. n. 105/2001 e la R.M. 56/2002 il compenso dell’amministratore rientra nell’attività profes-sionale quando l’attività di amministratore può essere considerata oggettivamente connessa alle mansioni tipiche della professione abitualmente esercitata. Si possono pertanto distinguere:
a) compensi corrisposti a professionisti per i quali la prestazione di amministratore rientra nell'oggetto pro-prio della professione quali dottori commercialisti, ragionieri professionisti -
Iidd: r.a. 20%; Iva: sì ; Cassa previdenza: 4%;
b) compensi corrisposti a professionisti, per i quali l’attività di amministratore è compresa tra le mansioni di categoria o è oggettivamente connessa: avvocati, ingegneri edili che amministrano una società di ingegneria o un’impresa edile, geometri che amministrano piccole o medie aziende agrarie, periti agrari che ammini-strano aziende agrarie e zootecniche (L. 434/68), dottori agronomi e forestali che amministrano aziende a-grarie, zootecniche e forestali (L. 3/76), agrotecnici che amministrano aziende agrarie, zootecniche, di lavo-razione, trasformazione e commercializzazione di prodotti agrari e zootecnici, limitatamente alle piccole e medie aziende -
Iidd: r.a. 20%; Iva: sì; Cassa previdenza: 2% - 4% ;
c) compensi corrisposti a professionisti, per i quali l’attività di amministratore non rientra nell'oggetto proprio della professione e non ne è oggettivamente connessa -
Iidd: Irpef per scaglioni; Iva: no; Inps: soggetti a contributo;
d) compensi corrisposti ad amministratori non residenti;
Iidd: r.i. 30%; Iva: no; Inps: no.
Sono imponibili i compensi in natura corrisposti all’amministratore (Cass. Sez. 3, n. 832, 26/04/1994) e i compensi sotto forma di azioni sociali cedute a prezzo di favore (Cass. Sez. 3, n. 4802, 26/04/1994).

DIPENDENTI / AMMINISTRATORI 
Quando un dipendente, in base al proprio contratto di lavoro, agisce anche come amministratore della socie-tà per la quale lavora, per società del gruppo o anche per terze società, il compenso percepito confluisce nel reddito di lavoro dipendente, cumulandosi alla retribuzione.
Nel caso di conferimento dell’incarico di amministratore di imprese controllate / collegate a manager della controllante o altre imprese del gruppo il cui compenso sia poi riversato alla società, secondo la Nota dell’A.E. n. 124734/2002, qualora l’amministratore riversi alla società datrice di lavoro il compenso, il tratta-mento fiscale è così sintetizzabile:
- non deve essere operata la tassazione Irpef in quanto il percettore effettivo non è la persona fisica ma l’impresa;
- i compensi sono tassabili in capo all’impresa e non all’amministratore;
- le deducibilità per la società erogatrice avviene per cassa.

AUTO - Utilizzo da parte dell’amministratore- Vedi § Autoveicoli

BENEFICI- Vedi § Benefici a favore di dipendenti, amministratori e soci

TRATTAMENTO FINE MANDATO AMMINISTRATORI - TFM
E’ un’indennità che l’impresa si impegna a corrispondere agli amministratori alla scadenza del mandato. Come il compenso, deve essere preventivamente stabilita e determinata dall’atto costitutivo della società o dall’assemblea dei soci.
In mancanza di specifiche previsioni fiscali o civilistiche, nella prassi, il trattamento di fine mandato si deter-mina con riguardo alla capacità reddituale, o al volume d’affari o alla realtà operativa economica. L’indennità può essere stabilita in misura fissa, percentuale sul compenso annuo o proporzionalmente ad alcune gran-dezze del bilancio. Se il compenso dell’amminsitratore è conseguito nello svolgimento di un’arte o professio-ne, la società non può riconoscere la corresponsione di un trattamento di fine mandato.

Se il diritto all’indennità risulta da data certa anteriore all’inizio del rapporto:
- la società deduce in ogni esercizio la quota Tfm di competenza (indeducibile ai fini Irap) e, alla cessazione del mandato, eroga l’indennità al netto della ritenuta d’acconto del 20% (cir. 37/E 6/7/01) da versare all’Erario con cod. 1040;
- l’indennità incassata dall’amministratore è soggetta ad Irpef con tassazione separata ai sensi dell’art. 17. L’A.E. provvede al ricalcolo dell’imposta, con il criterio della tassazione separata, applicando l’aliquota corri-spondente al reddito medio del biennio precedente ovvero se più favorevole all’amministratore, l’aliquota dell’anno di pagamento.

Il riconoscimento della data certa anteriore al rapporto, nelle società di capitali, si potrebbe alternativa-mente ottenere con:
a) redazione di verbale di assemblea da parte di un notaio;
b) estratto notarile della delibera assembleare;
c) autentica notarile delle firme dei soci sul verbale di delibera;
d) vidimazione notarile del libro delle adunanze assembleari;
e) notifica rituale del verbale di delibera all’amministratore stesso;
f) registrazione della delibera dei soci presso l'Agenzia delle Entrate (tassa fissa art. 10 Tariffa);
g) invio all’amministratore con raccomandata di copia della delibera in plico senza busta.
Si ritiene che possa valere come modalità di riconoscimento della data certa anche il deposito del verbale presso il Registro delle Imprese in occasione della nomina dell’amministratore.
L’indennità deve essere pagata all’amministratore alla cessazione dalla carica, indipendentemente dal fatto che venga poi rieletto.

Se il diritto all’indennità non risulta da data certa anteriore all’inizio del rapporto:
- secondo l’A.E (R.M. 211/E/2008), per la società, l’indennità è deducibile nell’esercizio in cui avviene il pa-gamento;
- secondo parte della dottrina (vedi anche Leo Monacchi Schiavo ed. 99), la società deduce in ogni esercizio la quota Tfm di competenza;
- al pagamento, la società non opera la ritenuta del 20% ma rilascia il cedolino paga alla stregua del com-penso corrente;
- per gli amministratori, l’indennità Tfm è soggetta a tassazione ordinaria e ha lo stesso trattamento del com-penso corrente (art. 54).

Il Tfm è soggetto al contributo previdenziale dovuto alla gestione separata Inps, entro il massimale contribu-tivo (tenuto conto anche dei compensi correnti dell’anno) variabile di anno in anno.
Secondo l’Inps (prot. 27/7265 del 15/3/02) il contributo previdenziale si calcola sull’importo dell’indennità al lordo della ritenuta fiscale 20%. La società dovrà in primo luogo determinare l’ammontare dei contributi do-vuti e successivamente applicare la ritenuta d’acconto del 20% sul Tfm diminuito della quota Inps a carico dell’amministratore (1/3).
Sempre secondo l’Inps (anche se il punto è poco chiaro) in caso di polizza assicurativa se beneficiario è la società il contributo previdenziale si calcola sul Tfm al netto dei rendimenti finanziari, se beneficiario è l’amministratore detti rendimenti costituiscono compenso e pertanto vanno assoggettati a contributo.

Esigibilità- Secondo la tesi prevalente, ogni mandato costituisce un rapporto giuridico distinto ed autono-mo con la conseguenza:
- che per ogni mandato (conferma/rielezione) occorre verificare il presupposto della data certa anteriore;
- al termine di ogni mandato sorge il diritto ad esigere l’indennità.

POLIZZA ASSICURATIVA PER TFM 
La società può decidere di accantonare l’indennità di fine mandato in una polizza di assicurazione, che offre i seguenti vantaggi:
- salvaguarda l’equilibrio finanziario nell’esercizio in cui dovrà essere corrisposta l’indennità;
- il capitale accantonato si rivaluta;
- le somme corrisposte alla compagnia di assicurazione sono impignorabili e insequestrabili ai sensi dell’art. 1923 c.c..
Il contraente della polizza è sempre la società, mentre il beneficiario può essere la società o l’amministratore.
Nella schematizzazione che segue si presume la sussistenza dei requisiti per la tassazione separata.

Beneficiario: la società
I premi pagati a fronte della polizza sono accreditati in un conto patrimoniale che figurerà nell'attivo di bilan-cio.
Le quote periodicamente accantonate a titolo di indennità di fine rapporto verranno imputate al c.e. ed an-dranno a costituire un Fondo al passivo.
I proventi della polizza, ovvero la differenza positiva tra capitale liquidato dalla Compagnia di Assicurazione e premi versati, sono iscritti a c.e. tra i proventi finanziari.
Tali proventi della polizza:
- relativi a contratti stipulati fino al 31/12/1995 - sono assoggettati dalla Compagnia di assicurazione a rite-nuta d’imposta pari al 12,50%, ridotta del 2% per ogni anno successivo al decimo, se il capitale è corrisposto dopo almeno 10 anni dalla conclusione del contratto con conseguente ripresa in diminuzione in dichiarazio-ne dei redditi;
- relativi a contratti stipulati dall’1/01/1996 fino al 31/12/2000 - sono assoggettati dalla Compagnia di assicu-razione a ritenuta d’acconto pari al 12,50%, ridotta del 2% per ogni anno successivo al decimo, se il capitale è corrisposto dopo almeno 10 anni dalla conclusione del contratto e soggetti a tassazione in capo alla socie-tà quali componenti positivi di reddito;
- relativi a contratti stipulati dall’1/1/2001 - non sono assoggettati ad alcuna ritenuta e sono tassati in capo alla società quali componenti positivi di reddito;
Alla liquidazione del Tfm, la società:
- calcola i contributi Inps sull’importo del Tfm lordo corrisposto, trattenendo la quota di 1/3 a carico dell’amministratore;
- liquida il Tfm spettante all’amministratore operando una ritenuta d’acconto del 20% sul totale del Tfm de-tratta la quota inps (1/3) a carico dell’amministratore (inps 15/03/02);
- compila il mod. Cud indicando l’ammontare del Tfm negli appositi campi relativi alla tassazione separata;
- inserisce nel Mod 770 l’ammontare del Tfm corrisposto e della ritenuta operata.
L’amministratore non inserisce l’importo nella dichiarazione dei redditi; l’A.F. provvederà direttamente a de-terminare l’imposta dovuta, con il criterio della tassazione separata, applicando l’aliquota corrispondente al reddito medio del biennio precedente ovvero se più favorevole all’amministratore l’aliquota dell’anno di pa-gamento.
In caso di morte la tassazione separata si applica in capo agli eredi.

Scritture contabili 

- Al pagamento dei premi:

Polizza Tfm B.III.2.d
a
Banca c/c

Nota: il c/ Polizza Tfm rappresenta una voce dell'attivo: Attività finanziarie immobilizzate o Crediti verso altri.

- alla fine di ciascun esercizio, per la quota di competenza:

Accantonamento Tfm B.13
a
Fondo Tfm B.3

- al momento della cessazione del rapporto, per la liquidazione dell'indennità accantonata:

Fondo Tfm
a
Amministratori c/ liquidazione
Amministratori c/ liquidazione
a



==/==
Banca c/c
Erario c/ ritenute (20%)
Inps c/ contr. ammin. (quota amministratore)
==/==
Inps c/ contrib. ammin.
Contributi Inps (quota azienda)
a

Banca c/c



- al momento dell'incasso del capitale assicurato:

==/==
Cassa (per l’importo netto incassato)
Erario c/ritenute subite (per la rit. 12,50%)

a


==/==


Polizza Tfm (totale premi pagati)
Proventi finanziari (differenza al lordo im-posta tra premi pagati e capitale riscosso);


Beneficiario: l'amministratore
I premi pagati a fronte della polizza sono accreditati in un conto patrimoniale che figurerà nell'attivo di bilan-cio.
Le quote periodicamente accantonate a titolo di indennità di fine rapporto verranno imputate al c.e. ed an-dranno a costituire un Fondo al passivo.
I proventi della polizza, ovvero la differenza positiva tra capitale liquidato dalla Compagnia di Assicurazione e premi versati, sono corrisposti direttamente all’Amministratore; si pone pertanto la questione della loro tas-sazione, in capo all’Amministratore, quali compensi in natura.
I proventi della polizza sono assoggettati dalla Compagnia di assicurazione ad imposta sostitutiva dell’imposta sui redditi pari al 12,5% ridotta del 2% per ogni anno successivo al decimo (non si applica in ca-so di decesso dell’amministratore prima della fine del mandato).
Alla liquidazione del Tfm
La Compagnia assicuratrice liquida il capitale assicurato direttamente all’amministratore operando, per conto della società, una ritenuta d’acconto del 20% (spesso la compagnia versa le somme necessarie al pagamen-to della ritenuta alla società ed il netto all’amministratore ed è la società, in qualità di sostituto d’imposta, a pagare la ritenuta all’erario) sul totale del Tfm detratta la quota inps (1/3) a carico dell’amministratore (Inps 15/03/02).
La società:
- calcola i contributi inps sul Tfm corrisposto dalla Compagnia assicuratrice comprensivo del rendimento fi-nanziario (il punto è poco chiaro) e recupera la quota di 1/3 a carico dell’amministratore;
- compila il mod. Cud indicando l’ammontare del Tfm negli appositi campi relativi alla tassazione separata;
- inserisce nel Mod. 770 l’ammontare del Tfm corrisposto e della ritenuta operata.
L’amministratore non inserisce l’importo nella dichiarazione dei redditi; l’A.F. provvederà direttamente a de-terminare l’imposta dovuta, con il criterio della tassazione separata, applicando l’aliquota corrispondente al reddito medio del biennio precedente ovvero se più favorevole all’amministratore l’aliquota dell’anno di pa-gamento.
In caso di morte la tassazione separata si applica in capo agli eredi.

Scritture contabili

- Al pagamento dei premi:

Polizza Tfm
a
Banca c/c

Il c/ Polizza Tfm, rappresenta una voce dell'attivo: Attività finanziarie immobilizzate o Crediti verso altri.

- alla fine di ciascun esercizio, per la quota di competenza:

Accantonamento Tfm
a
Fondo Tfm

- al momento della cessazione del rapporto, per la liquidazione dell'indennità accantonata:

Fondo Tfm
a
Polizza Tfm
==/==
Contributi Inps (quota azienda)
Crediti v/ amministratore (quota amm.re) 
a
Inps c/contributi
Crediti verso amministratori
a
Erario c/ritenute

oppure se la compagnia versa alla società gli importi necessari per il versamento della ritenuta:

Banca c/c
a
Crediti/debiti v/compagnia assicuratrice
Crediti/debiti v/compagnia assicuratrice
a
Erario c/ritenute


ASSICURAZIONI INFORTUNI, MALATTIE, VITA
E' necessaria una diretta correlazione tra il rischio in cui incorre l'amministratore nello svolgimento della pro-pria attività ed il rischio garantito; la società si garantisce da eventuali oneri derivanti da azioni di rivalsa e-sercitate dall'amministratore per danni subiti nell'esercizio delle sue funzioni. Vedi N.C. n. 154.
In assenza di detta correlazione, il premio pagato dalla società costituisce beneficio per l’amministratore ed il costo è deducibile secondo il principio di cassa, a titolo di compenso in natura purché regolarmente delibera-to dall’assemblea dei soci.
Si possono distinguere i seguenti casi:

Contraente: società, che sopporta anche le spese
Assicurato: amministratore
Beneficiaria: società
Se il rischio garantito è strettamente inerente allo svolgimento dell’incarico dell’amministratore, il costo del premio è deducibile per la società e non rappresenta beneficio tassabile in capo all’amministratore. La socie-tà si garantisce sia da eventuali oneri derivanti da azioni di rivalsa esercitate dall'amministratore per danni subiti nell'esercizio delle sue funzioni sia da eventuali oneri che potrebbe subire direttamente in conseguen-za del verificarsi del rischio.
In caso di infortunio, l’indennizzo dell’assicurazione diviene reddito tassabile in capo alla società. L'eventuale danno richiesto e ottenuto dall'amministratore sarà costo deducibile per la società.
Al termine dell’esercizio, se la durata della polizza si protrae oltre l'esercizio, occorre conteggiare il risconto attivo, in base alla competenza.

Contraente: società, che sopporta anche le spese
Assicurato: amministratore
Beneficiario: amministratore
1) Se il rischio garantito è strettamente inerente allo svolgimento dell’incarico dell’amministratore, il costo del premio è deducibile per la società e non rappresenta beneficio tassabile in capo all’amministratore.
In caso di infortunio, l’assicurazione eroga l’indennizzo direttamente all’amministratore. Il risarcimento non costituisce beneficio tassabile in capo all’amministratore.
Al termine dell’esercizio, se la durata della polizza si protrae oltre l'esercizio, occorre conteggiare il risconto attivo, in base alla competenza.
Si sottolinea l’importanza di strutturare il contratto in modo da poter dimostrare la stretta correlazione tra il rischio assicurato e il rischio cui si espone l’amministratore nello svolgimento del proprio incarico. In definiti-va, la società si garantisce da eventuali oneri derivanti da azioni di rivalsa esercitate dall'amministratore per danni subiti nell'esercizio delle sue funzioni.
2) Se il rischio garantito non è strettamente inerente allo svolgimento dell’incarico dell’amministratore, il pre-mio pagato costituisce beneficio tassabile in capo all’amministratore ed il relativo costo è deducibile per la società secondo il principio di cassa.
E’ scorretta la pratica di inserire i premi tra i costi fiscalmente indeducibili per evitare di tassare il beneficio in capo all’amministratore.
Se si verifica il danno, nulla dovrà dichiarare l’amministratore né come beneficio né come eventuale introito del risarcimento.

Talvolta vengono proposte polizze infortuni "a tutto campo", che coprono sia rischi aziendali che extra azien-dali; sono facilmente contestabili dal Fisco. E' opportuno stipulare due distinte polizze, una per i rischi azien-dali, deducibile per la società e non tassata in capo all'amministratore ed una per gli extra aziendali, deduci-bile per la società ma costituente reddito tassabile per l'amministratore. Nel caso di un'unica polizza suddivi-dere almeno il premio.

Polizza uomo chiave. Poiché le prospettive aziendali e le attese reddituali sono spesso influenzate dalle qualità di una o più persone, le imprese possono assicurare il loro patrimonio umano stipulando apposite po-lizze così strutturate:
Contraente: società, che sopporta anche le spese
Assicurato: l’uomo chiave
Beneficiaria: società
Deducibilità fiscale dei premi: i premi dovrebbero essere deducibili per competenza, a patto che contraente e beneficiario siano l’azienda stessa. Ci sono infatti dubbi sull’inerenza del costo (art. 109.5).
Capitale assicurabile: nelle società di capitali non esiste alcun limite civile o fiscale, se non la congruità, mentre nelle società di persone il limite assicurabile è pari alla quota del valore patrimoniale della società spettante all’assicurato, nel momento della stipula della polizza.
Tassazione del capitale liquidato: le somme liquidate sono componenti positivi di reddito (art. 88.3 a).

POLIZZA DI RESPONSABILITA’ CIVILE
I premi assicurativi corrisposti per la stipula di polizze volte a garantire la copertura delle perdite di carattere patrimoniale, che gli amministratori della società dovessero subire in seguito ad azioni di responsabilità civile a seguito di atti compiuti dagli stessi amministratori nell’esercizio dei loro incarichi e funzioni, non costitui-scono fringe benefit e non concorrono alla formazione del reddito di lavoro dipendente dei soggetti beneficia-ri. Ciò, fatta eccezione per gli atti dolosi o fraudolenti e al di fuori delle ipotesi in cui gli assicurati abbiano ot-tenuto profitti o vantaggi personali, o ricevuto compensi cui non avevano diritto.
Gli eventuali rimborsi corrisposti dalla società di assicurazione non costituiscono per l’amministratore un ar-ricchimento, ma un risarcimento del danno patrimoniale subito. E’ stato osservato che il medesimo tratta-mento dovrebbe valere anche per gli amministratori il cui reddito è inquadrabile tra quelli di lavoro autonomo.