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giovedì 30 giugno 2011

Vano il divieto di richiedere dati già in possesso del Fisco

accertamento

Vano il divieto di richiedere dati già in possesso del Fisco

Per la Cassazione, tale divieto verrebbe «sacrificato» in ragione della necessità di addivenire alla ragionevole misurazione della pretesa

/ Sabato 25 giugno 2011
Ormai la “giostra fiscale” gira a velocità forsennate e, a seconda del giostraio di turno, in un senso oppure in senso nettamente contrario: è il caso della recente sentenza n. 13289 depositata il 17 giugno scorso (si veda “La Cassazione amplia la difesa nel «redditometro»” del 18 giugno) concernente l’accertamento sintetico, nella quale i giudici della Sezione tributaria affrontano anche la questione della rilevanza della mancata risposta al questionario dell’Ufficio in termini di “sterilizzazione”, a fini difensivi, di quanto non addotto dal contribuente interpellato.
La questione investiva un accertamento fondato sul “redditometro”, per il quale l’Ufficio aveva, nel corso dei giudizi di merito, eccepito l’inutilizzabilità di documentazione prodotta dal contribuente a suo discarico in quanto, in precedenza, non era stata trasmessa all’ufficio richiedente: comportamento come noto sanzionato, viste le modifiche apportate dall’art. 25 della L. n. 28/1999 al penultimo comma dell’art. 32 del DPR n. 600/1973, con la previsione che “Le notizie e i dati non addotti e gli atti, i documenti, i libri ed i registri non esibiti o non trasmessi in risposta agli inviti dell’ufficio non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente, ai fini dell’accertamento in sede amministrativa e contenziosa”.
I giudici di merito, in entrambi i gradi di giudizio, accoglievano la censura del contribuente secondo cui, in ragione della previsione del quarto comma dell’art. 6 della L. n. 212/2000 (c.d. “Statuto del contribuente”), “al contribuente non possono, in ogni caso, essere richiesti documenti ed informazioni già in possesso dell’amministrazione finanziaria o di altre amministrazioni pubbliche indicate dal contribuente”.
I giudici della Sezione tributaria, nel ribaltare gli esiti del giudizio e quindi cassando con rinvio la decisione della C.T. Reg. ulteriormente favorevole al contribuente, sulla questione dell’invocata violazione del precetto statutario ne attenuano sensibilmente la portata, affermando che il divieto di richiedere documenti e informazioni già in possesso dell’Amministrazione finanziaria o di altre Pubbliche Amministrazioni, “tenuto conto della necessità (evidenziata dalle sezioni unite nella citata decisione n. 26635 del 2009) di esperire il preventivo contraddittorio per adeguare l’elaborazione statistica degli standard considerati dai DD. MM. del 1992 alla concreta realtà economica del [singolo] contribuente, di per sé solo, non esclude il potere dell’amministrazione finanziaria di chiedere, oltre che documenti ed informazioni non in suo possesso (o in possesso “di altre amministrazioni pubbliche indicate dal contribuente”), soprattutto specificazioni su “informazioni” da esso già conosciute onde dare concretezza ed effettività a quel contraddittorio”.
In sostanza, per la Cassazione il divieto verrebbe “sacrificato” in ragione della necessità di addivenire, mediante il preventivo contraddittorio, alla ragionevole misurazione della pretesa, assumendo rilievo non già il “documento” ma “l’informazione” che, correlata al bene o servizio documentalmente certificato, potrebbe recare giovamento al procedimento di accertamento.
La tesi dei giudici non convince, e per più di un motivo. In primo luogo, il rigore della disposizione statutaria non può essere temperato solo perché occorre “bullonare” il procedimento di accertamento: se la norma prevede l’impossibilità della richiesta, la medesima non può essere derogata per ragioni di formazione della prova, a beneficio dell’una e a scapito dell’altra parte. Infatti, ne deriverebbe una palese e intollerabile asimmetria, ravvisabile nella seguente situazione: se il contribuente non ottempera alla richiesta è passibile di “sterilizzazione” di quanto non addotto; se il Fisco richiede documentazione per la quale la richiesta è espressamente vietata, e non la riceve, si giunge al paradosso che a seguito della violazione di legge nella quale si è condotto viene invocata la sanzione nei confronti del contribuente che, in sede processuale, ha avuto buon governo nel predisporre la difesa “anche” in ragione degli elementi richiesti e legittimamente non forniti.
In secondo luogo, non convince neanche la “funzionalità” attribuita alla possibilità di deroga dell’impossibilità della richiesta, atteso che essi argomentano come le “informazioni” sarebbero necessarie per la preventiva fase del contraddittorio: l’anticipazione della difesa in ambito endoprocedimentale, però, non è un obbligo per il contribuente e, in ogni caso, allo stesso non può essere certo precluso l’utilizzo nel processo tributario degli elementi che ritiene opportuni per il dispiegamento della difesa, se immuni da inutilizzabilità.
Il tutto, e viene da sorridere, mentre il Legislatore sta approvando una disposizione, contenuta nell’art. 7, primo comma, lettera f) del DL n. 70/2011 (c.d. “Decreto Sviluppo”) in corso di conversione, secondo cui “i contribuenti non devono fornire informazioni che siano già in possesso del Fisco e degli enti previdenziali ovvero che da questi possono essere direttamente acquisite da altre Amministrazioni”. Ma si tratta di un altro giostraio e di un altro giro di giostra.

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