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giovedì 30 giugno 2011

CFC: ancora «linea dura» dell’Agenzia su servizi infragruppo e attività produttive

fiscalità internazionale

CFC: ancora «linea dura» dell’Agenzia su servizi infragruppo e attività produttive

Con la circ. 28/2011, ribadita e ampliata la posizione restrittiva, già espressa ad inizio anno in occasione di Telefisco

/ Lunedì 27 giugno 2011
Con la circolare n. 28 del 21 giugno 2011, l’Agenzia delle Entrate ha confermato la posizione di massimo rigore, assunta il 6 ottobre 2010 con la circolare n. 51, e ribadita poi lo scorso gennaio in occasione del consueto appuntamento annuale di Telefisco, circa l’applicazione della disciplina CFC alle società estere che prestano servizi infragruppo.
L’art. 167, comma 5-bis, del TUIR dispone innanzitutto che in presenza di società o altri enti residenti in paradisi fiscali, controllati e dediti prevalentemente ad attività di mero godimento o alla prestazione di servizi, anche finanziari, all’interno del proprio gruppo, il contribuente italiano non può invocare la (sola) prima esimente. La circolare n. 51/2010, infatti, ha precisato come la partecipata estera che si trova in siffatte condizioni sia, per espressa previsione normativa, in una situazione in cui il rischio di abuso risulta potenzialmente più elevato: in questo senso, al fine di ottenere una disapplicazione della tassazione per trasparenza, il controllante italiano è tenuto a dimostrare non solo il ricorrere della prima esimente, “ma anche la mancanza – nel caso specifico – di intenti o effetti elusivi finalizzati alla distrazione di utili dall’Italia verso Paesi o territori a fiscalità privilegiata”.
Soggetti penalizzati anche se non residenti in Stati paradisiaci
I soggetti esteri controllati, che conseguono la maggior parte dei propri proventi dalle medesime attività di cui sopra, possono tuttavia essere penalizzati anche se non residenti in Stati o territori paradisiaci: l’art. 167, comma 8-bis, del TUIR, infatti, estende a costoro il meccanismo di imposizione per trasparenza, in presenza di una tassazione effettiva nel Paese di localizzazione, quale esso sia, inferiore a più della metà di quella teorica italiana. Il tutto fatta salva la possibilità, per il contribuente italiano, di dimostrare il ricorrere della specifica esimente riportata dal successivo comma 8-ter.
Con la circolare n. 51/2010, l’Agenzia delle Entrate si era già espressa nel senso di non voler escludere dall’ambito di applicazione di entrambi i commi determinate realtà imprenditoriali, in ragione dell’astratta mancanza di caratteristiche idonee a conseguire fenomeni elusivi: a titolo esemplificativo, il documento includeva, tra i soggetti ai quali si applicano le due previsioni, nel rispetto di tutte le condizioni fissate dalla legge, le società che operano essenzialmente nei confronti di consociate non residenti, ossia estero su estero.
La circolare n. 28/2011 ha ampliato la casistica: l’Agenzia, infatti, a conferma di quanto anticipato dopo l’incontro di Telefisco dello scorso 26 gennaio, ha ritenuto di ravvisare un servizio prestato alle consociate, rilevante ai fini dei commi 5-bis e 8-bis dell’art. 167 del TUIR, anche laddove il soggetto estero operi come mera trading, compravendendo merci o prodotti finiti (quesito 3.1), o presti attività di carattere produttivo, svolgendo fasi del processo di lavorazione (quesito 3.2).
È d’interesse osservare come nei recenti chiarimenti l’Amministrazione abbia ribadito un’ulteriore presa di posizione, certamente restrittiva, assunta ad inizio anno, in tema CFC (quesito 3.3).
Con stretto riferimento all’ipotesi in cui un contribuente italiano invochi la prima esimente di legge, con riguardo a realtà estere che svolgono attività di produzione nello Stato di localizzazione, la circolare n. 28/2011 ha escluso che si possa prefigurare in questi casi una sorta di radicamento naturale.
Anche in tali ipotesi, pertanto, oggetto di valutazione dovrà essere innanzitutto l’attitudine o meno della CFC a rivolgersi al mercato locale, in fase di approvvigionamento o di distribuzione.
In carenza del suddetto requisito, il contribuente potrà valorizzare ulteriori elementi, tra cui, ad esempio, le ragioni economiche e imprenditoriali che lo hanno indotto a investire all’estero. In questa prospettiva, afferma l’Agenzia, “lo svolgimento nel Paese estero di un’attività di produzione rappresenta una circostanza da valutare in sede di esame del singolo caso concreto”.

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