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Ricorsi Tributari

giovedì 23 giugno 2011

Accertamento omesso: la relata ammette l’integrazione

Accertamento omesso: la relata ammette l’integrazione

In caso di omessa notifica dell’accertamento, l’esibizione della relata nel processo contro il ruolo ammette l’integrazione

/ Giovedì 23 giugno 2011
Nel contenzioso tributario, l’integrazione dei motivi di ricorso ha una scarsissima applicazione pratica: una volta steso l’atto introduttivo, al di là del peculiare caso del secondo ricorso notificato nei termini (Cass. 8234 del 2008), i motivi non possono essere integrati. Insomma, il contribuente deve ponderare bene i motivi di censura contro l’atto impugnato quando stende il ricorso: una volta redatta l’impugnazione, questi si ritengono “cristallizzati”.
Tanto premesso, esiste una norma (art. 24 del DLgs. 546/92) che consente, in presenza di deposito di documenti non conosciuti ad opera della controparte, l’integrazione dei motivi. Dal punto di vista procedurale, anche se con alcune peculiarità dovute allo stadio in cui si trova il contenzioso, il contribuente notifica un atto di integrazione dei motivi (praticamente un secondo ricorso) e lo deposita presso la segreteria.
È facile capire che detta norma ha poco rilievo, visto che l’atto impugnato è per forza di cose conosciuto, e che gli atti a cui questo fa riferimento (esempio, PVC) devono essere allegati, pena la nullità del provvedimento ex art. 42 del DPR 600/73.
Una recente sentenza della Regionale di Palermo (20 aprile 2011 n. 179, sezione dodicesima) ha però rinvenuto un’ipotesi in cui l’integrazione dei motivi può trovare applicazione con una certa frequenza: l’omessa notifica dell’atto “presupposto”.
Ora, è principio pacifico, a seguito della storica sentenza 16412/2007 delle Sezioni Unite, quello secondo cui l’omessa notifica dell’atto “presupposto” (avviso di accertamento, cartella di pagamento) comporta, di per sé, la nullità dell’atto “successivo” (cartella di pagamento, pignoramento, ove se ne ammetta la ricorribilità). Quindi, se il contribuente non riceve l’accertamento, ben può impugnare il ruolo chiedendone la caducazione solo per tal motivo.
Quid iuris se, nel processo contro il ruolo o il pignoramento, l’Ufficio o Equitalia esibiscono la relata di notifica o l’avviso di ricevimento?
Varie volte ci siamo soffermati sui vizi di notifica dell’atto “presupposto” che possono comportare la nullità di quello “successivo” (si vedano “L’elezione di domicilio «indirizza» la notifica dell’accertamento” del 17 marzo 2011 e “La nullità della notifica legittima il ricorso «tardivo»” del 28 febbraio 2011), ma il discorso in esame è un tantino diverso.
Medesimo discorso se è omessa la cartella
Nella situazione prospettata, rimane fermo il principio introdotto dalle Sezioni Unite, quindi se non vi è prova della notifica il ruolo o il pignoramento sono nulli.
Se viene esibita la relata di notifica o l’avviso di ricevimento, il contribuente può avere necessità di contestarne la validità, si pensi alla relata in bianco, a indirizzi di consegna diversi da quelli reali e così via. Ciò costituisce un’integrazione dei motivi di ricorso, allora, come giustamente detto dai giudici palermitani, occorre la notifica di apposito atto di integrazione dei motivi.
Bisogna tuttavia rispettare la procedura indicata dall’art. 24 del DLgs. 546/92, sulla quale non è questa la sede per dilungarsi (si evidenzia solo che l’integrazione deve avvenire entro sessanta giorni dalla scoperta del documento nuovo).
Fatta l’integrazione, il contribuente può a questo punto sollevare le censure sulla validità della notifica, ma non può di certo opporre eccezioni relative all’atto “presupposto” (esempio, mancata indicazione delle aliquote nell’accertamento, violazione dei termini di decadenza), siccome se la notifica del provvedimento “presupposto” non è avvenuta o è avvenuta irritualmente l’atto “successivo” è nullo (a meno che il contribuente non intenda impugnare anche l’atto “presupposto”, ma si tratta di una sua scelta), se, invece, la notifica risulta posta in essere, il ricorso del contribuente è destinato ad essere rigettato, salvo sussistano vizi propri dell’atto “successivo” debitamente evidenziati nel ricorso.

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